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Breve storia del pianoforte

Ma anche uno dei più complessi, dei più difficili da apprendere, fra quelli che richiedono più costanza, dedizione, impegno, applicazione e tanta disciplina. Questi e molti altri sono tradizionalmente gli aggettivi ed i concetti attribuiti all'incontrastato "re" degli strumenti musicali: il pianoforte. Come è normale che sia, ciascuno vive il proprio rapporto con la musica in modo personale, secondo i propri gusti, ma generalmente si può affermare che quando un pianoforte fa sentire la sua voce nessuno è in grado di resistergli: impossibile non rimanere stregati e farsi coinvolgere da un susseguirsi di note su note che possiede indiscutibilmente qualcosa di magico, una sorta di mondo impalpabile, eppur esistente e reale, che probabilmente non potrà mai essere spiegato a fondo con le parole. Ma quanto si conosce davvero su questo strumento così straordinario? Il presente articolo vuole essere un semplice excursus, tanto più sintetico quanto più completo (e comprensibile) possibile, sui profili storici riguardanti il pianoforte, dalla nascita allo sviluppo, fino a ciò che è diventato ai giorni nostri.

Prima di entrare nel merito della storia dello strumento, sembra opportuno chiarirne alcuni aspetti tecnici classificanti. Il pianoforte appartiene alla categoria dei cordofoni a corde percosse. I cordofoni sono strumenti a corda, che naturalmente producono il suono tramite le vibrazioni create dalle corde (si pensi banalmente all'arpa, o al violino). Nel pianoforte, la percussione sulle corde avviene tramite martelletti che vengono messi in azione tramite la tastiera, la quale si compone di 88 tasti. Di questi, 52 sono bianchi e 36 sono neri; sui primi vengono suonate le note naturali, mentre sui secondi si rappresentano le alterazioni (perciò i vari bemolli e diesis). Come suggerisce il nome stesso dello strumento, la parola "pianoforte" è di origine italiana, e questo non è soltanto un chiaro indizio, ma anche qualcosa di cui poter essere orgogliosi.

Non solo. I concetti del "piano" e del "forte", uniti in un'unica parola, spiegano anche una caratteristica fondamentale dello strumento: cioè la possibilità di ottenere intensità di volume differenti a seconda dello specifico tocco che si imprime al tasto, con una dinamica che può quindi spaziare dal piano pianissimo (ppp) al forte fortissimo (fff), passando – da un estremo all'altro – per uno sconfinato ventaglio di "coloriture". Questa possibilità non esisteva con gli strumenti antecedenti al pianoforte, che si potrebbero definire i suoi cosiddetti "antenati". Fatta questa semplice – ma imprescindibile – premessa, diviene possibile analizzare i vari passaggi storici della vita dello strumento.

Si consideri che gli strumenti a corda possiedono origini antichissime: ne è un esempio il saltèrio, che era diffuso all'epoca degli Egiziani e degli Ebrei, tra il 3000 e il 1500 a.C. In questo strumento, il suono veniva prodotto pizzicando corde tese sopra ad una cassa che svolgeva le funzioni di un risuonatore.

 

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CC Julio Juarez / Flickr

 

Il monocordo risale al VI secolo a.C. ed era composto da una cassetta rettangolare di legno che serviva da cassa di risonanza e su cui veniva tesa una corda di budello, che veniva fatta vibrare utilizzando un plettro; un ponticello mobile poteva dividere la corda in varie lunghezze, e ciascuna di queste poteva dunque vibrare liberamente ad una differente frequenza.

 

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CC Aldo Cavini Benedetti / Flickr

 

Al III secolo a.C. risale invece un'invenzione dell'ingegnere Ctesibio di Alessandria: l'hydraulis, organo idraulico che funzionava ad aria basandosi sul principio dei vasi comunicanti. L'intuizione di Ctesibio fu quella di costruire il primo somiere, la parte intermedia che invia l'aria alle canne, nonché di aver adattato la prima tastiera ad un gruppo di otto o dieci canne. Si dovettero attendere almeno quattro secoli per arrivare a sviluppi significativi. Intorno al I secolo d.C., infatti, Erone di Alessandria, matematico ed ingegnere, costruì un organo in cui le valvole che immettevano aria nelle canne venivano controllate da tasti incernierati; tramite l'impiego di molle, queste valvole venivano riportate nella loro posizione originale. Nel periodo del IV secolo d.C., l'organo – da idraulico che era – venne reso pneumatico: il meccanismo del mantice, che generava aria diretta, sostituì quello più obsoleto della pressione dell'aria ottenuta con il sistema dell'acqua. All'inizio del XII secolo, gli organi non possedevano ancora una tastiera per come oggi noi la concepiamo, cioè composta da tasti sottili azionati dalle dita, bensì un dispositivo a tiranti o a larghe stecche azionato con le mani. Ad ogni modo erano tastiere piuttosto rudimentali, quasi esclusivamente diatoniche. Solo nel XIII secolo vennero introdotti, in una tastiera a parte, i semitoni cromatici. Mentre nel XIV secolo si vedrà, invece, l'introduzione dei tasti cromatici nell'ambito della stessa tastiera. All'inizio del Trecento, le leve dell'organo erano state trasformate in tasti sottili, il che consentiva un certo virtuosismo, benché in un'estensione limitata. Effettivamente, un primo sistema di tasti – derivati proprio dall'organo – venne applicato al monocordo tra l'VII ed il XII secolo d.C.

 

 

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Nel XII secolo era parecchio diffusa anche la ghironda, che al tempo veniva chiamata anche organistrum: questo strumento era formato da una cassetta a forma di parallelepipedo, con varie corde sfregate da una ruota di legno coperta di pece e messe in movimento da una manovella. I cantini, posizionati nella parte centrale dello strumento, venivano comandati da una tastiera cromatica.

 

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CC Salvatore Capalbi / Flickr

 

Ma fu solo con l'inizio del XV secolo che si iniziarono ad intravedere grandi cambiamenti: il monocordo diventò il clavicordo, che è senza dubbio il diretto antenato del pianoforte. Si può ipotizzare che l'invenzione del clavicordo derivi proprio dall'applicazione della tastiera all'idea costruttiva su cui si basavano sia il monocordo che l'organistrum. Il suo meccanismo era semplice: una piccola lama di ottone, chiamata tangente, veniva inserita perpendicolarmente alla leva che prolunga il tasto e svolgeva una doppia funzione: faceva sia da ponte, per determinare l'altezza della nota, sia da percussore, per produrre la nota stessa. In origine, una corda veniva usata per produrre più note, e normalmente vi erano più tasti che corde (al massimo quattro tasti per corda). Con l'andare del tempo, il numero di corde fu aumentato, arrivando a due tasti per corda. Finchè il tedesco Daniel Faber, nel 1725, arrivò a costruire il primo clavicordo slegato, cioè con un tasto per ogni corda.

 

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Il clavicordo non riuscì mai a superare la concorrenza del suo brillante rivale, il clavicembalo, strumento che aveva ormai raggiunto una perfezione tale da essere preferito pressoché da tutti i compositori dell'epoca. Tuttavia, pare accertato che il clavicordo fosse lo strumento prediletto di Johann Sebastian Bach, il che verrebbe spiegato da una sensibilità al tocco che il clavicembalo non aveva. Non si dimentichi, inoltre, la possibilità di un suono – per quanto debole – legato e pieno di sfumature, di sottile fascino e di espressione. Senza parlare poi di quella tipica capacità di vibrare il suono mediante un leggero tremolo del dito. Indicativamente nello stesso periodo si stava sviluppando l'altro famoso "antenato" del moderno pianoforte: il clavicembalo. L'invenzione di questo strumento è da attribuire al viennese Hermann Poll. Ciò che lo contraddistinse fu l'introduzione di corde lunghe e di una tavola armonica di notevole superficie, il che permise di produrre suoni di volume più consistente. Le corde venivano pizzicate da un plettro montato ad angolo retto su di un saltarello; quando si premeva il tasto, il plettro veniva abbassato, il saltarello si innalzava e il plettro pizzicava la corda. Quando poi il saltarello ricadeva, un panno attaccato ad esso smorzava la vibrazione della corda. Nel XVI secolo, vennero condotti esperimenti con corde ancora più lunghe e tavole armoniche di maggiori dimensioni: il risultato fu lo sviluppo del cembalo che, con l'adozione di un'ottava inferiore, divenne gravicembalo o clavicembalo.

 

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Sebbene alcuni esperti sostengano che il clavicembalo non si può considerare un diretto predecessore del pianoforte, soprattutto per quanto riguarda la concezione meccanica dello strumento, è tuttavia innegabile il merito del clavicembalo di aver apportato innovazioni importanti che sono giunte fino al pianoforte moderno. Per esempio, la cassa a forma di ala del clavicembalo è imitata da quella del pianoforte a coda. E ancora: l'idea di utilizzare per ogni nota più di una corda per poterne accrescere il volume, particolare che fu proprio del clavicembalo a partire dalla metà del XVII secolo. Inoltre il clavicembalo era dotato anche di un congegno che sollevava gli smorzatori dalle corde consentendo l'esecuzione di note sostenute, nonché di un congegno per trasporre la tastiera. Entrambi dispositivi trasmessi poi al pianoforte. A onor del vero, l'invenzione del pianoforte fu preannunciata da due difetti, sia del clavicordo che del clavicembalo: quest'ultimo, infatti, non permetteva di produrre un'esecuzione dinamica, mentre il clavicordo consentiva una modesta escursione dinamica, ma non era minimamente in grado di creare note forti come quelle prodotte dal clavicembalo.

Pose un rimedio a questi difetti un artigiano italiano, il costruttore di clavicembali Bartolomeo Cristofori, che nel 1698 dette inizio agli esperimenti che condussero in seguito alla realizzazione del pianoforte così come lo conosciamo oggi e lo chiamò "gravecembalo col piano et forte", con ciò intendendo che questo strumento poteva produrre diversi tipi di gradazioni sonore. L'intuizione di Cristofori fu geniale soprattutto perché egli riuscì a sfruttare il principio delle leve ottenendo quindi sul martelletto una forza percussiva che può anche essere di dieci volte superiore a quella impressa sul tasto, ed ergo completa di tutte le gradazioni intermedie. Da tutto ciò ebbe origine la possibilità di un'esecuzione dal piano al forte con diverse accentuazioni espressive. L'idea di Cristofori si basava sulla sostituzione dei saltarelli del clavicembalo con i martelletti, indipendenti dai tasti e mossi da una contro-leva a bilancia avente due movimenti: uno anteriore, che spingeva in alto il martelletto inviandolo a percuotere la corda, ed uno posteriore, che faceva calare lo smorzo attaccato all'altra estremità della contro-leva, restando in tal modo libera la corda da poter vibrare al colpo del martelletto. Una volta terminata l'azione del tasto, succedeva ovviamente il contrario: il martelletto ricadeva e lo smorzo tornava verso l'alto, raggiungendo la corda e facendone quindi cessare le vibrazioni. Cristofori, volendo fare in modo che il martelletto, una volta percossa la corda, si fermasse su di essa impedendone le vibrazioni, vi applicò una molla che lo faceva ricadere subito su sé stesso. Questo meccanismo venne chiamato "scappamento". Fu poi lo stesso Cristofori ad inventare il sistema dello spostamento della tastiera azionato dal ginocchio, grazie a cui il martelletto percuoteva una sola corda anziché due: ciò corrispondeva, evidentemente, al moderno "pedale del piano".

Dal nome "gravecembalo col piano et forte" deriva il nome di "pianoforte", che fu anche preceduto da quello di "fortepiano". Il primo modello di pianoforte fu messo a punto da Cristofori presso la corte fiorentina di Ferdinando de' Medici, nel 1698. Questo nuovo strumento consentì agli interpreti di ottenere sonorità più o meno forti a seconda della pressione esercitata dalle dita sui tasti, differentemente dall'organo e dal clavicembalo, le cui corde vengono pizzicate e non percosse, come avviene invece nel pianoforte.

Nel 1726, Gottfried Silbermann, costruttore di organi tedesco, ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori, che peraltro sottopose alla valutazione di Johann Sebastian Bach. Il prodotto fu molto gradito a Federico II di Prussia, che ne acquistò 7 per 700 talleri, con lo scopo di arricchire i propri palazzi. Nel 1732, la musica iniziò ad essere scritta specificamente per il pianoforte, cosa che ne decretò la reale ascesa come strumento da concerto e per esecuzione solistica. Presso Silbermann si formò Andreas Stein, che ebbe il merito di perfezionare i sistemi dello scappamento e degli smorzatori. Nel 1777, Stein ricevette la visita di Wolfgang Amadeus Mozart, che fu molto entusiasta di come quello strumento permettesse infinite possibilità espressive. Anche Beethoven compose e suonò su questi pianoforti. Tra i costruttori francesi più famosi vengono ricordati Sébastién Érard e Ignace Pleyel, considerati i più grandi produttori di pianoforti dell'Ottocento. Nel 1780, vennero probabilmente costruiti i primi pianoforti verticali ad opera di Johan Schmidt, artigiano di Salisburgo. Nel 1872, la Steinway & Sons di New York, fondata da circa un ventennio, brevettò il pianoforte con il telaio in ghisa e divenne il maggior produttore mondiale di pianoforti di qualità, considerati i migliori del mondo, posizione mantenuta anche ai giorni nostri, come dimostrato dalla grande diffusione di questi magnifici strumenti in qualsiasi manifestazione concertistica di alto livello, senza tralasciare il fatto che questo produttore detiene 125 brevetti su circa 140 esistenti nell'ambito delle tecnologie di costruzione dei pianoforti.

 

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CC Timothy Wildey / Flickr

 

A livello italiano, dal 1980 la ditta Fazioli produce un pianoforte considerato come uno dei migliori a livello mondiale, grazie sia alla produzione limitata ed estremamente curata (circa 120 strumenti costruiti ogni anno) sia all'impiego, nella fabbricazione della tavola armonica, del pregiato abete rosso della Val di Fiemme, lo stesso tipo di legno impiegato – nella creazione dei propri violini – dal celeberrimo liutaio Antonio Stradivari.

 

 

 

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Autore: Alessandro Grisendi

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