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Intervista ad Alice Baccalini: non chiamatemi più enfant prodige!

Se poi te la trovi davanti, bellissima anche dentro ai jeans e a una T-shirt, e soprattutto di una simpatia contagiosa, di un entusiasmo che vince la naturale timidezza, non puoi non restarne affascinato! Ho appena condiviso con lei il palcoscenico in uno spettacolo teatrale e lavorare con lei è stato un enorme piacere. Il suo talento mi commuove e mi esalta a tal punto che mi astengo dal commentare la sua carriera, il suo eclettismo, la sua passione e lascio che sia lei a parlare. Ma per dispetto parto dall'argomento che più di una volta mi ha rivelato detestare...

Perché ti dà fastidio essere chiamata enfant prodige?

"Perché per i primi 15 anni della mia vita è stato il mio punto di forza, ma in seguito ho sempre avuto paura che le mie competenze venissero apprezzate per l'età e non per i meriti artistici. Ormai mi sento adulta, sono giovane perché ho 21 anni e ancora tanto da imparare, ma mi sento matura artisticamente, nel senso che ho i miei gusti e le mie idee in campo musicale."

Tu hai cominciato veramente prestissimo

"Mia madre è diplomata in pianoforte e fin da piccola lo strumento era in casa. Ma io non mostravo grande interesse. Poi, a 3 anni, mia madre mi iscrisse a un corso propedeutico della scuola di musica Suzuki. All'inizio era disperata! Lei voleva che imparassi il violino, ma quando si trattò di scegliere lo strumento io optai per il piano e da lì scattò qualcosa dentro di me: lo vivevo come un gioco e cominciava a divertirmi. Andavo a lezione una volta alla settimana e ogni giorno suonavo 5 minuti. Mia madre mi ha insegnato la costanza, che è fondamentale per lo studio di uno strumento."

E poi cosa è successo?

"In questa scuola io ero molto più veloce degli altri per cui all'età di 6 anni mia madre mi iscrisse al Conservatorio di Milano. Ero, inutile dirlo, la più giovane. Mi sono diplomata a 15 anni. Ovviamente essendo entrata presto ho finito presto, ma ho seguito il mio percorso naturale. Nel frattempo frequentavo un corso di perfezionamento a Imola. Seguivo anche le lezioni di Nune e Tatevik Hairapetian, loro sono state davvero importanti per la mia formazione. Una volta diplomata ho iniziato a studiare a Francoforte, poi a Fiesole e a Lugano, dove studio ancora adesso."

La prima esibizione a che età risale?

"Il mio primo concerto a 4 anni, ma la prima esibizione importante è stata a 10 anni alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano per la Società dei Concerti."

Com'è vivere la propria vita con la presenza costante del pianoforte fin dalla tenera età?

"Per me è sempre stato naturale averlo, sono abituata alla sua presenza come a qualcosa di familiare. Ci sono stati anche i momenti di crisi ma alla fine è sempre stata la mia passione."

Quanto occupa della tua vita?

"Tantissimo, però ho molti altri interessi: dall'arrampicata al sub. Giocavo a calcio in serie C, ho fatto un corso da sommelier, un anno di Storia dell'arte all'Università. Quello che intendo dire è che il piano è sempre stato importante, ma non totalizzante come per molti musicisti. Non sono una nerd!"

Tu hai fatto tantissimi concerti, in Italia e all'estero. C'è un'esibizione che ricordi in particolare?

"Sì, quella al Teatro alla Scala per il Galà di Capodanno, col corpo di ballo. Ho suonato Satie. Ed è stato emozionante, sia perché non avevo mai lavorato coi ballerini, sia perché per la prima volta il pubblico era immerso nell'oscurità e io sotto i riflettori, cosa che non capita normalmente nelle sale da concerto. E poi la Scala era strapiena e i miei genitori erano seduti nel palco reale!"

Paura?

"Sì!! A volte è paura del giudizio del pubblico, a volte è paura di sbagliare, la maggior parte delle volte è solo adrenalina per il fatto di salire su un palco."

Se sbagli una nota?

"Vai avanti, ti arrangi in qualche modo. Il vero panico è se hai un vuoto."

Qual è la volta in cui eri più terrorizzata?

"In Sala Verdi, avevo 11 anni, ed era la prima volta che suonavo con l'orchestra. Mi ricordo che mi sono seduta e mi tremava il piede, non riuscivo a centrare il pedale. Ogni tanto mi capita ancora."

E le mani?

"No, le mani non mi tremano mai!"

Hai sempre lavorato solo nella musica classica?

"Quest'inverno ho fatto al mia prima esperienza teatrale nello spettacolo "Straccioni" di Tiziano Scarpa, con l'Accademia dei Folli al teatro Litta di Milano e al teatro Gobetti di Torino. È stato esaltante per me. Innanzitutto per la prima volta non ero più sola al centro dell'attenzione come capita nei concerti. È un po' come fare musica da camera. Il dialogo tra le parole e la musica mi costringeva a stare sempre in ascolto degli altri. Per me era una cosa nuova. Anche prendere gli applausi con gli attori e non da sola, come di solito, è stato molto bello."

Fai sempre esibizioni come solista?

"Sì, ho sempre suonato da sola, o con l'orchestra ma comunque da solista. In realtà io vorrei fare musica da camera: anche se è spesso vista come un ripiego dai pianisti, credo sia bellissimo suonare con gli altri."

Perché?

"Innanzitutto, banalmente, perché studi con gli altri. Quando prepari un pezzo da sola, tutto il processo mentale di elaborazione del brano è tuo, invece nella musica da camera si lavora insieme. Il risultato nel primo caso è la tua personale interpretazione, nel secondo è la coesione di quelle del gruppo. Credo sia la stessa differenza per un attore tra fare un monologo e uno spettacolo corale."

Quindi in futuro ti dedicherai a quello?

"Spero di sì. Ho un duo con Cecilia Ziano [link:

] e un progetto di quartetto con due pianoforti e due percussioni."

Altri sogni per il futuro?

"Sicuramente il teatro. Un corso di direzione d'orchestra. Riprendere il violino, anche se è troppo tardi!"

A 20 anni???

"Sì, posso arrivare a strimpellarlo, ma non a suonarlo veramente."

Come sei arrivata a Cluster?

"Conoscevo la scuola di fama, ho chiesto un colloquio a Vicky Schaetzinger [link: http://www.scuoladimusicacluster.it/vicky-schaetzinger.html], stavo dando la maturità. Lei mi rispose che mi avrebbe preso anche solo per poter dire un giorno che Alice Baccalini ha insegnato alla sua scuola. Ho iniziato in punta di piedi, con pochissimi allievi e adesso insegno tre pomeriggi alla settimana! E mi piace moltissimo."

Cosa ti piace?

"La sensazione di trasmettere un sapere che viene da lontano, quello che mi ha passato la mia insegnante Tatevick, che a sua volta l'aveva appreso dal suo insegnante di Mosca e così via e se andiamo a ritroso nelle generazioni arriviamo a Beethoven! E poi mi piace l'aspetto che chiamerei sociale: tener viva la musica classica e avvicinarvi le nuove generazioni e mi piace farlo in una scuola come Cluster che ha un'impronta moderna!"

Immagino che ti capiteranno degli allievi più vecchi di te: com'è il rapporto con loro?

"Sì, io insegno ai bambini e agli adolescenti, ma ho anche qualche allievo adulto. Ognuno ha qualcosa di speciale: dal principiante all'adulto che riprende dopo vent'anni, al bambino molto dotato. Ho con tutti un rapporto empatico, anche se qualche volta mi capita di dover convincere quelli più grandi di me che ho ragione! Ma capisco che un adulto all'inizio possa non fidarsi della mia età!"

Parliamo del valore della musica classica oggi, perché è importante?

"Per me, che sono cresciuta come ti ho raccontato, quella è la musica. E poi io la trovo attuale. Ci sono brani scritti 300 anni fa che trovo modernissimi. In ogni caso che sia classica o no, l'importante è ascoltarla veramente. Viviamo bombardati quotidianamente dalla musica ma secondo me la ascoltiamo poco."

E la musica moderna?

"Io ne ascolto poca, ma è una mia lacuna. Ci sono tanti generi per i quali conta più la parola e il messaggio, che la musica in sé. Prendi De André, che io amo molto: è un poeta, ma musicalmente è poco interessante. Ci sono poi generi che io non riesco a considerare nemmeno musica."

Per esempio?

"Non so, la musica da discoteca, il rap."

La tecno, la fusion?

"Si ascolta mangiando il sushi?? Scherzi a parte, se tu cresci con le sonate di Mozart, ti accorgi che è un linguaggio, un modo di parlare attraverso un alfabeto diverso. Racconti una storia senza bisogno di parole."

Racconti la storia dell'autore o la tua?

"La cosa bella è che racconti la sua storia a modo tuo. Il valore di un artista risiede in quello che riesce a trasmette a livello emotivo. Puoi essere tecnico quanto vuoi, ma se non comunichi è la fine."

A cosa hai dovuto rinunciare della tua vita, della tua adolescenza?

"A niente! Ovviamente essendo sempre in anticipo sui tempi, ho vissuto spesso con persone più grandi di me, ho bruciato un po' di tappe, ho fatto tutto un po' prima dei miei coetanei."

È stato un bene o un male per te?

"Beh... è stato un bene perché sono sempre stata stimolata e dal punto di vista umano sono stata in grado di relazionarmi con gente più grande di me, mentre ho sempre fatto fatica coi miei coetanei. La cosa brutta è che sono sempre stata "la più piccola" e questo a volte mi pesa ancora, ecco perché non voglio essere chiamata enfant prodige."

Non ti è mancata una vita normale?

"Sono riuscita a far tutto, senza rinunciare a niente. Certo i ritmi erano serrati e le giornate iper organizzate: una vita faticosa ma molto ricca. Naturalmente ho dovuto fare delle scelte, come tutti. Per esempio, facevo tre allenamenti di calcio alla settimana più la partita, poi il mio insegnante di piano di Francoforte mi ha dato l'ultimatum: o il calcio o la musica."

Se non avessi scelto il piano saresti una calciatrice?

"No! Se suonassi come gioco a calcio, sarebbe la fine!"

E per fortuna che la giovane Alice ha scelto per il pianoforte, enfant prodige, nerd o semplicemente pianista, vi auguro di avere la fortuna di ascoltarla suonare!

Autore: Giovanna Rossi

Laureata in Scienze Biologiche all'Università Statale di Milano, nel '93 consegue il diploma di recitazione presso l'Accademia dei Filodrammatici di Milano e comincia l'attività teatrale come attrice.

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