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Cronaca di una Prima scaligera

Un’altra “Prima”. Ebbene sì, sono un’habitué delle serate inaugurali della stagione scaligera. Credo di averne vissuto almeno una dozzina. A prestarmi la sua stola di velluto nero e la sua borsa da sera alla mia prima “Prima” fu proprio Vicky. Mi ero comprata un abito lungo per l’occasione e mi sentivo davvero fortunata. In scena l’Armida di Gluck diretta da Riccardo Muti. Posti sempre spettacolari con vari “vip” a un passo da me.

L’ultima “Prima “è sempre la più bella in fin dei conti. A caldo sono ancora presenti le emozioni provate. Quest’anno è stata la volta di “Giovanna d’Arco” di Giuseppe Verdi riproposta alla Scala dopo 150 anni. Avendone viste di cotte e di crude in tema di regia e allestimenti scenici, nonché in tema di mìse delle sciure meneghine posso permettermi di dire la mia. Con l’occhio di una Forrest Gump di Chinatown. In realtà questa volta sono andata in veste di accompagnatrice di mia figlia Vittoria, dodicenne, aspirante bassista e clarinettista con qualche anno di pianoforte alle spalle. Sicuramente più ferrata lei in materia musicale della maggior parte del pubblico che di solito occupa le ambite poltrone in platea e nei palchi dell’evento mondano per antonomasia.

In dubbio se andarci in bicicletta (soluzione già adottata in passato, da vera radical chic) o in taxi, questa volta abbiamo scelto la seconda opzione e ci siamo trovate davanti un reggimento di poliziotti e carabinieri. Visti i tempi ne sono stata molto felice. Con un lasciapassare come i biglietti in un attimo è iniziata l’avventura. Dilemma: red carpet o porte laterali basso profilo? Ora o mai più. In uno slancio di protagonismo abbiamo imboccato l’entrata principale anche perché sinceramente tra poliziotti, giornalisti e transenne ci è sembrata la via più semplice. Gli anni scorsi era molto meno complicato. Davanti a noi c’era una coppia di “vip” a me sconosciuti che sorridevano ai flash e dopo l’inchino dei poliziotti con metal detector (che cavalieri!) per rilevare che tra lo chiffon delle sottane delle signore non fosse nascosto qualche ordigno, eccoci finalmente nel foyer pronte per raggiungere il nostro palco. Facile a dirsi. Con lo spiegamento di forze, tra tiratori scelti in borghese con distintivo, pennellone ingioiellate che se la tiravano, smokingati in gran tiro e chi più ne ha più ne metta il percorso non era per niente facile. Una giunonica Valeria Marini a destra, una tatuata ex signora Calderoli a sinistra, telecamere e fari davanti. Mario Bros ci faceva un baffo. Pare anche che qualcuno mi abbia visto in tv, imbottigliata nella ressa del chi c’è c’è. Quando si è vip si è vip. Ritirato il libro dell’opera al tavolo delle maschere, sempre elegantissime con il loro mantello, abbiamo pianificato un itinerario di aggiramento del palco reale per arrivare al nostro posto e dopo tre piani di scale in salita e in discesa passando per il ridotto dei piani alti (quello più chic) abbiamo guadagnato l’agognata meta. Non senza incrociare un defilato Roberto Maroni e la sua scorta in arrivo dall’entrata degli orchestrali. Che fortunona. Avrei preferito incontrare Patty Smith, un vero mito, ma in fondo anche Maroni ha un suo perché. Ha un passato glorioso come tastierista in una soul band, i Distretto 51.

Un’occhiata al teatro, sempre magnifico, al palco reale addobbato da Dolce e Gabbana con dei discutibili giglioni bianchi in omaggio alla Francia, con Renzi e Pisapia in bella mostra. Come passa il tempo. Mi ricordo che anni fa c’era Ciampi in quel palco.

Buio in sala. Un attimo e parte la magia. Ore 18. Puntualissimi. L’orchestra e il direttore sono impeccabili, i cantanti e il coro che in quest’opera ha grande rilevanza, pure. Il ruolo del padre di Giovanna, Giacomo (baritono) è affidato un sostituto a causa di una bronchite del titolare Carlos Alvarez. La regia è interessante e cerca di aiutare un libretto alquanto debole a trovare una sua strada. L’opera aveva incontrato delle critiche anche al suo debutto, nel 1845 ma la chiave più moderna che vede la protagonista nei panni di una fanciulla ottocentesca vittima di turbe psichiche che la portano a vivere le sue tormentate fantasie direttamente nella sua camera da letto, tanto venir coinvolta in epiche vicende, riesce ad ovviare a possibili cadute della narrazione drammaturgica. La scelta di alcuni effetti speciali e costumi mi è sembrata un po’ troppo kitsch; diavoli e angeli sono un po’ esagerati così come il total gold del re Carlo di cui la pulzella si innamora neanche tanto platonicamente. Almeno i capelli e il viso potevano risparmiarli. Pareva una via di mezzo tra un Ferrero Rocher e un sopravvissuto a Goldfinger. Per fortuna la voce dell’interprete Francesco Meli ne ha salvato la dignità. Il soprano Anna Netrebko è stata grande. Una voce potente, di forte presenza.

Applausi a scena aperta e 11 minuti di standing ovation.
E su tutti i giornali il look da albero di Natale della Santanchè in bianco e verde. Il colore sacro dell’islam ma anche un omaggio al cigno di Busseto.

Intanto la Scala aspetta che i giovani ne scoprano la magia.

Autore: Mariacristina Alia