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Mutazioni genetiche da milioni di copie: Butterfly dei Crazy Town

Qualche anno prima del 2000, più o meno in tutto il mondo, è esplosa la mania del numetal (e noi ne abbiamo già parlato abbondantemente) e ha generato anomalie che, a distanza di tanti anni, oggi sono piuttosto interessanti da riscoprire e studiare. Anomalie come i Crazy Town, un gruppo nato come duo rap duro e puro e poi trasformato più o meno all’improvviso in una rock band per cavalcare l’onda discografica del crossover ma, ciò nonostante, in grado di sfornare un successo globale come Butterfly salvo poi ripiombare nel dimenticatoio e sciogliersi come neve al sole nel giro di qualche anno, lasciando la loro improbabile hit come unica traccia del loro passaggio e, quindi, testamento artistico.

Crazy Town: one hit wonder dell’anno 2000

Insomma, parliamo di una realtà musicale che gli americani definiscono one hit wonder, espressione traducibile all’incirca come “prodigio da un’unica canzone di successo”, dove prodigio va inteso come evento unico, irripetibile, improbabile e sorprendente, più che come qualcosa di magico.

Anzi, i Crazy Town potrebbero anche essere elevati al rango di one hit wonder per eccellenza se non fosse che uno dei loro due frontman, Shifty (mancato circa un anno fa a nemmeno cinquant’anni) ha prodotto qualche anno dopo Slide Along Side, una canzoncina estiva diventata un successo soprattutto in Europa – e specialmente dalle nostre parti.

Anatomia di Butterfly, tra Red Hot Chili Peppers e rap

Tornando a Butterfly, perché parliamo di mutazione genetica?

Perché è una canzone stranissima, una ballad languida e suadente che sta a metà tra rap e rock, scritta e interpretata da un gruppo che si vuole chiaramente inserirsi all’interno della corrente numetal, adottandone sound ed estetica salvo poi mettere a punto un pezzo sentimentale, senza muri di chitarre e cavalcate furenti.

Anzi, il riff portante è una citazione (esplicita e riconosciuta) a una canzone strumentale dei Red Hot Chili Peppers di dieci anni prima - Pretty Little Ditty, tratta dal disco del 1989 Mother’s Milk, una frase musicale che sembra più figlia delle influenze psichedeliche e funk dei Peppers che non del trash metal anni 80 che, invece, è il padre putativo di tanto numetal anni 90 e 2000.

Una bella confusione, eh?

Anatomia di Butterfly, tra Red Hot Chili Peppers e rap

Eppure regge. Intendiamoci, Butterfly è clamorosamente figlia del suo tempo (e il relativo videoclip anche di più, considerando quanto oggi appaia decisamente più forzato, ridicolo e pretenzioso di quando uscii, quasi venticinque anni fa) però resta un brano godibile. Del resto, suona più come un vecchio quasi-classico, superato ma ancora fascinoso, che non come una canzonaccia imbarazzante dai suoni irrimediabilmente datati.

Probabilmente, tutto ciò è dovuto anche alla frequentazione sempre più intensa con le varie ramificazioni dell’urban che tutti noi abbiamo portato avanti – volenti o nolenti – nell’ultimo quarto di secolo e, al nostro orecchio così intriso di rap di ogni forma, colore, dimensione e latitudine di provenienza, Butterfly sembra solo un’altra canzone rap vagamente old school. Anche perché, a livello concettuale, è esattamente quello.

Più hip-hop che numetal?

Il telaio del pezzo è costruito esattamente come se fosse una canzone rap, con tanto di sample ripetuto a nastro da usare come base, pochissima melodia vocale (neanche il ritornello!) e, invece, quintali di rime. Certo, è una base suonabile che dal vivo veniva proposta in versione strumentale dai vari membri della band ma il brano è concepito per essere perfettamente eseguibile con i soli Epic e Shifty – i due frontman – alla voce e un dj alla console, quasi in stile dancehall.

Il risultato è un lento hip-hop con un groove di basso ipnotico e un riff di chitarra elegante e languido che ben si sposa con il clima generale del brano, il quale è sostanzialmente una dichiarazione d’amore tutto sommato piuttosto tamarra e di grana grossa ma molto convinta e, in fin dei conti, molto ben intonata alla poetica (per così dire) e all’estetica dei Crazy Town.

Un successo pop per un pezzo che non è (solo) rap né rock

Come ha intelligentemente scritto The Oklahoman quasi venticinque anni fa, è una canzone che è: «abbastanza tosta per piacere a chi si nutre di Limp Bizkit ma anche abbastanza dolce per sedurre i consumatori di pop». Rimane tuttora una definizione perfetta. Un pezzo poco impegnativo all’ascolto, insomma, ripetitivo e incantatore, che però ha una sua intensità obliqua e suadente, capace di risultare gradevole anche molti anni dopo, oggi come allora.

Al di là dei mucchi di dischi di platino rimediati in vari continenti, quindi, Butterfly riesce a dire ancora qualcosa all’ascoltatore contemporaneo e a fargli percepire nettamente un'atmosfera musicale passata senza didascalismi né forzature, rimanendo perfettamente accessibile come quando è stata scritta. Uun traguardo che, peraltro, tantissime altre canzoni con cui ha condiviso la classifica di quegli anni non possono vantare nemmeno lontanamente.

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.