Cinque supergruppi da ricordare
Tecnicamente, un supergruppo è una formazione musicale che presenta al suo interno membri diventati già noti presso il grande pubblico grazie a esperienze precedenti. Una definizione semplice che si capisce perfettamente, a livello concettuale: un supergruppo – o superband – è l’unione di più musicisti già famosi che decidono di mettersi insieme e registrare dischi o fare concerti (o entrambe le cose) per un po’.
Può essere un progetto parallelo rispetto a quel che si fa normalmente, può essere una parentesi, può essere la prosecuzione ideale di tutto quel che si faceva prima ma con persone diverse, può essere – a conti fatti – l’esperienza musicale che diventa più rilevante di un dato artista, al punto che ci si dimentica di quelle precedenti.
Nel corso della storia della musica pop e rock ci sono stati diversi collettivi che hanno potuto fregiarsi dell’etichetta di supergruppo, anche se non tutti hanno avuto fortuna a livello di vendite o di critica. Tuttavia, tra tutte queste realtà possibili, ne abbiamo scelte cinque da riproporre. I motivi che ci hanno portato a questa selezione oscillano tra la qualità musicale superiore, il gusto per la citazione di una realtà non più così nota (magari) e il ricordo che questa o quell’esperienza musicale era, appunto, una superband e non quella “originale” di un singolo artista.
Di seguito, in rigoroso ordine sparso, trovate i nostri cinque supergruppi del cuore.
1. Audioslave
Nati dalla fusione delle ceneri dei Rage Against The Machine e dei Soundgarden, gli Audioslave si formano a inizio anni 2000 e portano con sé il “vissuto” precedente delle due esperienze, fondendole in un sound originale dove gli elementi originari sono ancora ben distinguibili, soprattutto nel primo disco. Tre quarti del complesso derivano dai RATM e, soprattutto a livello ritmico, la cosa si nota: allo stesso modo, lo stile di canto di Chris Cornell rende il suono globale molto più vicino a un hard rock classico. In generale, specialmente nel disco d’esordio eponimo, gli Audioslave risultano più “pesanti” e massicci rispetto ai gruppi che hanno dato loro origine, l’aggressività e la malinconia dei Rage Against The Machine e dei Soundgarden trovano compimento in una nuova potenza sonora che le sublima e che, paradossalmente, resta intatta anche quando la distorsione e lo stile rock più duro lasciano spazio a un approccio più melodico e soft. Soprattutto Tom Morello, chitarrista dei RATM e degli Audioslave, ha commentato che all’interno della superband si sentiva autorizzato a sperimentare e a «esplorare un ampio territorio musicale»: quest’attitudine alla ricerca sonora e agli esperimenti probabilmente emerge di più in Out of Exile e Revelations, il secondo e il terzo disco usciti nei due anni immediatamente precedenti lo scioglimento.
2. Crosby, Stills & Nash (più Neil Young)
Probabilmente il supergruppo più famoso – e riconosciuto come tale – di sempre, Crosby, Stills, Nash & Young denunciano fin dal nome della band la loro natura di insieme di singoli che hanno già una storia alle spalle. Anzi, per la precisione, i singoli che decidono di unirsi e creare qualcosa di nuovo sono solo tre, all’inizio: Neil Young si aggiunge ai primi tre solo con il Festival di Woodstock, nell’agosto del 1969, tre mesi dopo la pubblicazione del loro disco d’esordio. L’impulso fondativo originale arriva nel 1968 da Stephen Stills, David Crosby e Graham Nash, reduci dal successo ottenuto a metà anni 60 con le rispettive band: i Buffalo Springfield, i Byrds e gli inglesi Hollies. Nei primi militava anche Young, che entrerà e uscirà dal supergruppo con una certa disinvoltura, nel corso dei vari decenni. Tutti abili cantanti e chitarristi, i tre fondatori più Young si sono guadagnati fama e consenso soprattutto grazie alle armonie vocali che hanno saputo intessere all’interno delle loro composizioni. L’interazione tra le voci degli artisti si incastra su un “telaio” musicale che mescola influenze folk e country, suggestioni più rock e pop, con un’anima di chitarra classica a fare da denominatore comune a tutta la loro produzione.
3. Velvet Revolver
Superband da cinque elementi composta da tre ex Guns’n’Roses (Slash, Duff McKagan e Matt Sorum), Dave Kushner dei Wasted Youth e il compianto Scott Weiland, voce degli Stone Temple Pilot, i Velvet Revolver si formano tra il 2002 e il 2003, soprattutto per iniziativa dei tre ex Guns, decisi a tornare a suonare insieme. Dopo che un paio di esperienze di palco in cui si ritrovarono più o meno per caso a suonare insieme, Slash, Duff e Sorum si accorsero che la loro chimica era rimasta intatta e vollero dar seguito al ritrovato piacere di suonare insieme. Preso a bordo Kushner dopo poche jam session che, secondo Slash, dimostrarono immediatamente che era un «incastro perfetto» all’interno del loro nucleo musicale, ci volle un po’ di tempo per trovare un cantante all’altezza della situazione ma, alla fine, la spuntò Scott Weiland, attivo fin dalla metà degli anni 80 e vocalist molto esperto, oltre che dotato di sufficienti talento e teatralità. La band esistette realmente solo per cinque o sei anni, tra il 2002 e il 2008 circa, e pubblicò due dischi: Contraband e Libertad. Il primo ottenne un buon successo commerciale e tutto sommato buone critiche, trainato soprattutto dalla potenza del singolo Slither, il secondo invece riscosse discreto consenso presso il pubblico ma la critica non ne fu conquistata. Poco dopo, le tensioni interne alla band portarono allo scioglimento ma restano i due album prodotti durante gli anni di attività: due lavori dalle atmosfere grunge e potenti, dove i riff di Slash incontrano la scena metal e hard rock dell’epoca traendone un suono corposo e con la giusta dose di “sporcizia”, senza rinunciare a qualche intermezzo più romantico come Fall to Pieces.
4. Emerson, Lake & Palmer
Supergruppo formatosi nel 1970 e attivo per gran parte del decennio seguente, Emerson, Lake & Palmer sono ancora oggi considerati come una delle formazioni di punta del progressive rock. Musicisti estremamente talentuosi (per non dire direttamente virtuosi), i tre provenivano da esperienze precedenti di rilevanza diversa ma comunque notevole: Greg Lake veniva dalla fondazione dei King Crimson, dove suonava il basso e cantava; Keith Emerson era invece il più noto dei tre, all’epoca, in quanto tastierista dei The Nice, altra realtà di discreto successo di fine anni 60; Carl Palmer era un enfant prodige poco più che maggiorenne ma aveva già militato in una band psichedelica e in un’altra più hard, affermandosi come uno dei batteristi più interessanti e di talento della scena rock. Per evitare di essere troppo accostati alle loro esperienze precedenti, i tre decisero di chiamare la band con i propri cognomi in ordine alfabetico, un po’ alla maniera di Crosby, Stills & Nash. Per quanto riguarda la musica, la loro versione di prog è estremamente colta, molto figlia del jazz e dell’improvvisazione ma anche profondamente influenzata dalla musica classica. Fin dall’inizio, loro rielaborazioni di composizioni classiche fanno parte del loro repertorio: non a caso, oggi viene spesso citato come esemplificativo dello stile della band e come loro apice artistico il disco Pictures at an Exhibition, che è fondamentalmente il rifacimento live in chiave prog rock di alcuni brani del compositore russo Modest Musorgskij, riadattati, reinterpretati e usati come base per infinite divagazioni.
5. Traveling Wilburys
Supergruppo per definizione, forse uno dei supergruppi più “grossi” di sempre, i Traveling Wilburys annoverano al loro interno una serie di pesi massimi clamorosi della storia del rock: George Harrison, Jeff Lynne, Roy Orbison, Tom Petty e Bob Dylan, tutti insieme. Ritrovatisi insieme quasi per caso, i cinque membri del gruppo cominciarono da una jam session improvvisata a margine della registrazione di un lato B di un singolo di George Harrison ma ben presto la cosa si evolvette in altro, molto più grande. Tutti concordi nel trovare che suonassero troppo bene per poter limitare la questione a un B-side e a qualche suonatina privata, gli artisti decisero di registrare un intero disco e creare un mistero attorno alla loro reale identità, mettendo in piedi una narrazione fittizia per cui i membri erano tutti fratelli tra loro, tutti Wilbury – da cui il nome della band – figli di un tal Charles Truscott Wilbury Sr del tutto immaginario, ovviamente. Il mistero era più un gioco che un trucco di marketing da portare seriamente avanti: il disco non ebbe un vero lancio pubblicitario e la copertina stessa presentava una foto fatta apposta per suggerire la verità ma in qualche modo nasconderla, allo stessto tempo. Di fatto, il “segreto” venne svelato piuttosto presto ma effettivamente colpì l’immaginario del pubblico. La trovata e la musica – un folk rock con venature country un po’ rétro ma di grande qualità, dati gli interpreti – lanciarono l’album di esordio dei Traveling Wilburys che riscosse un ottimo successo di pubblico e critica nonostante fosse in netta controtendenza rispetto ai generi musicali più diffusi del momento, come l’hip-hop, il pop fatto soprattutto di sintetizzatori e d’influenza dance, l’acid house o l’hair metal con tutte le sue filiazioni. Del resto, George Harrison si augurava esattamente questo: costruire del solido folk rock vecchio stile che potesse però ancora imporsi all’interno di una scena in cui era teoricamente démodée. Poco dopo l'uscita del disco, venne a mancare Roy Orbison, che i compagni ricordarono nel videoclip girato per supportare il secondo singolo, e che omaggiarono in occasione del lancio del secondo album dei Traveling Wilburys, che venne dato alle stampe due anni dopo. Il progetto terminò la sua esistenza poco dopo, quando i membri del gruppo non riuscirono a trovare un accordo se portare dal vivo la musica dei Wilburys oppure no: alla fine, non si fece alcun tour e i vari membri del gruppo tornarono ben presto alle loro carriere soliste.