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Il 2014 è l'anno nero delle radio: tutte hanno perso ascoltatori

Quello che si riteneva impensabile è successo. Fra tutti i media tradizionali, la radio era sempre stata quello che ha sofferto di meno per l'avvento delle nuove tecnologie e della crisi. Per la sua stessa natura è un mezzo di comunicazione economico e duttile: piace ai giovani, si può ascoltare anche facendo altro, è gratuita, vi si accede attraverso moltissimi device (apparecchio radio, radiosveglia, autoradio, computer, smartphone e così via) e, per gli editori, richiede costi di produzione infinitamente più bassi rispetto – per esempio – alla televisione.
Per le sue caratteristiche la "vecchia" radio è in realtà il medium più adatto alla transizione al digitale, senza che ci perda nulla. Ma se la tecnologia è dalla sua parte, non si può dire lo stesso degli ascoltatori. Dopo un periodo di incertezza (nel 2013 alcune emittenti erano andate bene, altre no), il verdetto del 2014 è impietoso: secondo le rilevazioni annuali di RadioMonitor, tutte le quindici maggiori radio italiane hanno perso ascoltatori rispetto all'anno prima.
Le cifre sono da capogiro e quasi tutte a cinque zeri: -286'000 per Radio105, -239'000 per Rai Radio 1 e, attenzione, -335'000 per Radio Deejay. La storica radio milanese segna la performance di gran lunga peggiore, pur restando – per ora – al secondo posto dopo RTL. Degna di nota è Radio Capital, che resta sostanzialmente stabile fermandosi a quota -8000.
Dove sono andati tutti quegli ascoltatori? Su Spotify? Sulle web radio? Su questo RadioMonitor tace. E Linus, conduttore e direttore artistico di Deejay, in un virulento post sul suo blog attacca la società, accusandola di approssimazione e scarsa trasparenza. Quelle cifre infatti non hanno solo un valore simbolico, ma servono da bussola per i pubblicitari, che in base agli ascolti decidono dove sia meglio andare a investire. Meno ascolti significa – in prospettiva – meno investimenti; e meno investimenti vogliono dire meno ossigeno per le radio, che potrebbero essere costrette a ridurre la loro offerta.
In ogni caso, se gli ascoltatori se ne vanno è perché trovano il prodotto insoddisfacente. Della serie: meglio seguire i propri artisti preferiti su Spotify o fare "zapping" da una playlist all'altra che sorbirsi il vecchio, ingessato palinsesto radiofonico. Nonostante le radio nel tempo si siano dimostrate capaci di adattarsi a una dimensione "di flusso" che abbatteva la rigida separazione fra un programma e l'altro, lo spettro del palinsesto è sempre presente. La radio deve prima di tutto intrattenere, ma facendolo in una maniera leggera, incentrata su poche personalità carismatiche e senza dimenticare che la musica è la sua risorsa più preziosa.

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