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La guida istantanea per diventare un esperto di jazz

Per il jazz non esiste nulla di tutto ciò — ma si possono comunque individuare alcuni ingredienti fondamentali. E dato che, a quanto pare, il jazz è tornato di moda — infiltrando in certa misura proprio la comunità hipster che, a torto o a ragione, porta lo stesso nome dei bopper degli anni Quaranta — conoscere i rudimenti essenziali per sembrare un esperto del genere potrebbe tornarvi utile.

Siete capitati a un concerto e siete gli unici non musicisti? Volete fare bella figura con qualcuno? Volete fare gli anticonformisti e parlare male di La La Land? Ecco quello che fa per voi.

 

1) Conoscere i capisaldi

I jazzisti e gli amanti del jazz in generale adorano parlare di jazz in continuazione. Raramente fanno altro. Per questo è indispensabile un piccolo manuale di conversazione — per non farvi cogliere impreparati se vi chiedono cosa ascoltate. Miles Davis resta in cima alla piramide, ma evitate di parlarne troppo: rischiate di apparire scontati. Se capita, citate Kind of Blue come capolavoro assoluto, e dite vagamente che comunque lui era sempre avanti rispetto ai suoi tempi. Poi, John Coltrane, punto di riferimento spirituale. Bill Evans, per la malinconia. Il vostro preferito però dev’essere Thelonious Monk, o al massimo Charles Mingus.

Potete tranquillamente lasciar perdere lo swing (sappiate giusto canticchiare Take The “A” Train di Duke Ellington) e il free jazz — dite al massimo che ascoltate qualcosa (l’ultimo Coltrane, Ornette Coleman) ma fate fatica a digerirlo.

Luoghi comuni sempre veri e spendibili:

- Il jazz è la musica classica del XX Secolo.

- È la musica più democratica che esista.

- La tecnica e la rapidità di esecuzione non sono tutto, anzi.

 

2) Sapere di chi bisogna parlare male

Ci sono alcuni bersagli polemici ricorrenti che è utile tenere a mente:

- Il jazz lounge, rilassante, mieloso, da ascensore, un po’ kitsch, tipo Kenny G.

- Wynton Marsalis, che eh, musicista impeccabile, però troppo tradizionalista.

- La musica fusion (esclusi i Weather Report).

- Dave Brubeck, il jazz bianco della West Coast (ma non Chet Baker, fate attenzione).

- Regola semplice: Bollani sì, Allevi neanche a pensarci.

 

3) Ai concerti

Ascoltate sempre tutto con aria rapita, tenete il tempo con il piede, oscillate la testa, ogni tanto durante gli assoli gridate yeah e vi sentirete immediatamente sulla 52esima strada. Durante i soli di contrabbasso, parlate al vostro vicino per scherzare sul fatto che durante i soli di contrabbasso si parla sempre. (No, non fatelo). Alla fine, commentate tutto positivamente — se proprio dovete criticare qualcosa criticate l’acustica del luogo.

Se capitate a una jam session, dovrete saper riconoscere almeno qualche tema (e mi raccomando, fatelo notare o canticchiatelo). Non fatevi spaventare dal numero esorbitante di standard contenuti nei Real Book: ve ne bastano quattro o cinque, a cominciare dai più triti — Cantaloupe Island, Watermelon Man, So What, Tenor Madness, per esempio.

 

4) A casa e in giro

A casa appendete qualche poster e foto in bianco e nero degli anni ’50 o ’60. Come sfondo del cellulare usate la copertina di Bitches Brew. Tamburellate sempre con le dita ritmi swing su qualsiasi superficie solida e cantate assoli immaginari: tutti devono sapere che, dentro di voi, state sempre improvvisando.

 

5) Essere al passo con i tempi

Jazzisti sì, ma del ventunesimo secolo. I tradizionalisti, la vecchia guardia, quelli che suonano ancora bebop sono sempre un po’ da biasimare. Al contrario, dovete andar matti per le contaminazioni elettroniche e hip hop. Loop, pad e effetti vari bastano a mandarvi in visibilio. Se volete arrischiare qualche considerazione politica, sottolineate l’origine eminentemente afro-americana della musica che ascoltate — potreste addirittura non parlare più di jazz, ma di “black music” in generale. Devono piacervi per forza: J Dilla, i Roots, Erykah Badu, Robert Glasper, Kendrick Lamar.

 

Visto? Bastano pochi accorgimenti per mimetizzarsi quasi alla perfezione nella fauna entusiasta che popola concerti, jam session e aperitivi. Se poi scoprite che il jazz vi piace per davvero, c’è sempre tempo per approfondire.

Autore: Sebastian Bendinelli

Ho studiato basso elettrico in Cluster con Piero Orsini, che mi ha contagiato con la passione per la musica jazz. I miei ascolti musicali sono onnivori e disordinati: a parte il jazz (e la black music in generale), cerco di tenere un orecchio aperto anche sul mondo dell'indie e dell'elettronica.

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