Non solo tromba e sax: 8 strumenti inusuali nella storia del jazz
Evoluzioni che, prima degli small combo, hanno interessato le big band: il clarinetto e la cornetta, popolarissimi nel jazz di New Orleans, hanno gradualmente lasciato il proprio posto ai sassofoni e alla tromba, mentre il contrabbasso ha potuto affrancarsi dall’appoggio ritmico della chitarra e assumere un ruolo di primo piano — anche solista — soltanto grazie ai progressi dell’amplificazione.
La nostra idea di combo jazz deriva, in effetti, dalle formazioni bebop e hard bop, che hanno contribuito a consacrarla anche iconograficamente, dai quintetti di Charlie Parker a quelli di Miles Davis, passando per i Jazz Messengers di Art Blakey. Ma non c’è mai stata un’assoluta stabilità: alcuni strumenti, prima marginali, sono arrivati gradualmente alla ribalta (per esempio la chitarra elettrica); altri hanno mantenuto una tradizione minoritaria ma non meno importante (il vibrafono e il violino); altri sono stati introdotti tardi, ma sono riusciti a stabilire un nuovo standard (l’organo Hammond).
Viceversa, alcuni strumenti non sono mai riusciti a ritagliarsi più che una nicchia molto ristretta nella tradizione jazzistica, pur avendo raggiunto risultati apprezzabili e, qualche volta, storicamente rilevanti. Eccone una rassegna — chiaramente non esaustiva.
Corno francese
Tipicamente strumento classico, il corno francese è stato introdotto nel jazz con i primi esperimenti third stream degli anni Quaranta: l’orchestra di Claude Thornhill aveva un cornettista, così come il nonetto di Miles Davis che registrò il celebre Birth of the Cool, dove l’impiego di strumenti classici serviva volutamente a creare un suono più rarefatto e smooth rispetto al bebop contemporaneo: un bebop “da camera”, per dirla così.
Ma il cornettista più importante della storia del jazz è stato senz’altro Julius Watkins (1921-1977), che compare come sideman in decine di album di nomi di grande calibro — da Monk a Coltrane — ed è stato leader di un sestetto che merita ancora di essere ascoltato.
Clarinetto basso
Il clarinetto basso in realtà è una “seconda scelta” abbastanza frequente per un gran numero di sassofonisti e flautisti, ma è associato soprattutto al nome di Eric Dolphy, che in molte occasioni — sia come leader, sia nelle formazioni di Charles Mingus — ha mostrato di preferirlo al sax. Suonare il clarinetto basso nel jazz oggi è impossibile senza citare Dolphy — che dallo strumento traeva un suono graffiante, profondo e tubulare.
Prima di lui, in un contesto decisamente più tradizionale, aveva dedicato al clarinetto basso un album intero il flautista Herbie Mann.
Cornamusa
Il primo e sostanzialmente unico musicista di cornamusa jazz è stato Rufus Harley, nato come sassofonista e, secondo la leggenda, innamoratosi dello strumento tradizionale scozzese dopo averlo sentito suonare al funerale di J. F. Kennedy nel 1963. Poco adatta ai virtuosismi solistici, la cornamusa di Harley ricorda il suono di altri grandi sperimentatori delle potenzialità dei fiati negli anni ’60 e ’70, come Tony Scott e Rashaan Roland Kirk.
Ma Harley ha avuto una carriera lunga (è morto nel 2006) e nel 1995 ha collaborato perfino con i Roots.
Oboe
Poco usato fuori dal contesto classico, al pari del corno francese, l’oboe ha trovato qualche impiego negli arrangiamenti orchestrali di Gil Evans (Sketches of Spain), ma è stato adoperato per la prima volta come strumento solista da Yusef Lateef (1920-2013), versatile sperimentatore e polistrumentista di Detroit, famoso soprattutto per le contaminazioni tra jazz e musica “orientale.” E si chiama appunto Eastern Sounds (1961) uno dei suoi dischi più famosi. Un po’ bluesman, un po’ incantatore di serpenti.
Oud
A proposito di orientalismi: l’oud è un antico strumento arabo (in arabo ūd significa semplicemente “legno”), simile al liuto europeo. A trapiantarlo nel jazz — ma una miscela peculiare di jazz, folk e musica classica araba — è stato il musicista tunisino Anouar Brahem, che ha inciso una decina di dischi per l’etichetta tedesca ECM, collaborando con nomi importanti del jazz europeo come Dave Holland e Jan Garbarek.
Pocket trumpet, slide trumpet
La tromba tascabile è semplicemente, come vuole il nome, una tromba in miniatura. Sembra un giocattolo per bambini, ma ci si può ricavare un suono niente male. Nel jazz, è inseparabile dall’immagine del trombettista Don Cherry, brillante collaboratore di Ornette Coleman e sperimentatore di lungo corso nei campi del free jazz e della world music. Qui con Herbie Hancock e Ron Carter.
La slide trumpet invece ha una tradizione più antica — deriva già nel Medioevo dalla basilare tromba di guerra — ed è sostanzialmente una tromba che si suona come un trombone. L’ha fatta propria il trombettista newyorkese Steven Bernstein, collaboratore di John Zorn e leader dei Sex Mob, che fanno free jazz con una vena molto funk.
Arpa
La prima arpista jazz è stata Dorothy Ashby (1930-1986), nata a Detroit e cresciuta inizialmente come pianista. Nel suo disco d’esordio come leader, The Jazz Harpist (1957), mostra una piena padronanza del linguaggio bop — al netto dell’effetto straniante del suono dell’arpa, che dà al tutto un’inevitabile patina da orchestra di Broadway. Più tardi avrebbe sperimentato sonorità più vicine all’R&B e alla world music, collaborando anche con Bill Withers e Stevie Wonder.
Steel drum
Strumento caraibico per eccellenza, lo steel drum (o steel pan) ha trovato un impiego particolarmente interessante nella big band di Jaco Pastorius tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ‘80, suonato da Othello Molineaux, che sostanzialmente copriva il ruolo normalmente assegnato a un tastierista.
Da quella tradizione, non manca chi ha recuperato lo steel pan in contesti di jazz-fusion contemporanea, come il virtuoso Jonathan Scales, classe 1984.