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Intervista a Giuliano Dottori a pochi giorni dall'uscita del suo nuovo disco L'Arte Della Guerra Vol. 2

Un esempio? Vi si legge: «Conosci il nemico, conosci te stesso, mai sarà in dubbio il risultato di 100 battaglie». Ma L'Arte Della Guerra è anche il titolo del concept in due volumi di Giuliano Dottori, che si ispira al testo di Sun Tzu, ma che parla anche di consapevolezze e trasformazioni, come lui stesso ci ha raccontato, partendo dagli inizi...

 

Giuliano, suoni la chitarra dall'età di 10 anni?

Sì, in realtà ho fatto un percorso misto, cominciato per caso in tenera età: un mio amico prendeva lezioni da un maestro che veniva a casa, quindi, vista la comodità, ho iniziato anch'io a studiare chitarra, prima classica, e poi elettrica, due mondi, due passioni diverse che ho sempre coltivato. Per quel che riguarda il lato blues, rock, pop, sono un autodidatta, alla vecchia maniera. Da ragazzino suonavo con mio fratello e i suoi amici, all'inizio della terza media ho fatto il mio primo concerto rock: ero il piccolo del gruppo! Ho sempre suonato tanto e studiato poco! E ho anche ascoltato tanto!

E poi?

A un certo punto ho interrotto gli studi classici. Avevo una mezza idea di fare il fonico, ma amavo anche le materie umanistiche, e mi piaceva scrivere. Alla fine mi sono iscritto all'università e ho ripreso a studiare la chitarra classica, così ho preso il diploma in Conservatorio da privatista e la laurea in drammaturgia musicale.

Hai cominciato a insegnare a Cluster nel 2007?

Sì, ho iniziato con poche ore e poi via via l'attività si è intensificata. Da 4 anni ho un gruppo di musica d'insieme con ragazzi che ho visto crescere, sviluppando la loro passione per la musica. Ecco: questo mi ha dato grande soddisfazione. Quest'anno qui a Cluster abbiamo iniziato un percorso di guida all'ascolto che oggi mi sembra una vera e propria urgenza: non siamo più abituati ad ascoltarci, né tantomeno ad ascoltare la musica. C'è una soglia d'attenzione bassissima. Quando avevo sedici anni la musica era un po' una religione. Adesso nell'ipod di un ragazzo trovi 600 brani di 600 artisti diversi, dai Led Zeppelin a Cristina Aguilera, da Shostakovich a Cristina d'Avena. Sembra che molti non abbiano idea di quello che ascoltano. Ecco perché è così importante una rieducazione. Ho costruito un percorso scegliendo un artista per decade: i Beatles per gli anni '60, i Pink Floyd per gli anni '70, Michael Jackson per gli anni '80 e cosi via. Il corso ha avuto un grande successo e mi diverte perché mi riapproprio anche del mio passato di studioso di musica.

Cosa ti piace dell'insegnamento?

Il lato umano, mi piace creare un rapporto con gli allievi, conoscerli in profondità. Sono sempre stato un anti tecnico. Mi piace trasmettere l'amore per la musica, pur consapevole che senza tecnica non vai da nessuna parte.

Tu sei un insegnante ma anche un musicista. Quali parti di te sono coinvolte nelle due attività?

L'approccio è differente: se penso a me come musicista è chiaro che attingo alla creatività, all'emozione. Entrano in gioco anche l'esibizionismo, l'egocentrismo, l'adrenalina da performance. L'insegnamento è più una questione di disciplina, studio, analisi.

Tra le due cose?

Beh... il momento creativo rimane magico.

E allora parliamo del tuo quarto disco: L'Arte Della Guerra Vol. 2.

È il secondo capitolo di questo concept (mastodontico! da crisi di mezza età!), che ho ideato nel 2011, a 35 anni, che è un momento critico nella vita di un uomo.

Come è nato?

Dal 2009, dopo l'uscita del mio secondo lavoro discografico, sono stato molto impegnato a suonare con gli Amor Fou: avevo poco tempo per dedicarmi ai miei progetti, cosi ho accumulato canzoni che ora sono in questi due volumi de L'Arte Della Guerra. Oltre al libro, che trovo molto interessante, mi piaceva la suggestione del combattimento, della conoscenza del nemico.

Cosa pensi del crownfunding?

Ho conosciuto il crowdfunding qualche anno fa, autofinanziando un festival di musica, che ho creato con mio fratello in un paese delle Marche: Musica Distesa. La campagna ha funzionato perché la gente ha preso a cuore l'iniziativa, tanto che nel 2013 è diventato il primo festival di musica totalmente autofinanziato in Italia: ho pensato di fare la stessa cosa col disco. Quello che mi mi piace del crowdfunding è il concetto di responsabilità reciproca tra artista e pubblico.

Quali sono i contenuti del disco?

Ha varie tematiche: innanzitutto la suggestione de L'Arte Della Guerra, che è un libro di ispirazione taoista e tratta temi universali: la ciclicità della vita, la rinascita dopo la sconfitta, il sole che esce dopo la pioggia... possiamo dire che sia un' analisi quasi filosofica. C'è una canzone in questo secondo disco che si intitola Fiorire che è emblematica: imparare dalla natura qualcosa per noi. Diciamo che i contenuti sono riflessioni sul vivere che ho fatto in tutti questi anni.

Immagino sia una grande soddisfazione incidere un disco ideato, scritto e cantato da te... Si realizza un sogno?

C'è un verso di una canzone che dice che quando desideri tanto una cosa e poi finalmente la ottieni spesso ti accorgi che non era così importante. Per esempio con gli Amour Fou ho fatto dischi con la EMI e la Universal, ho suonato all'Ariston per il premio Tenco, ho suonato negli stadi, ho aperto un concerto di Vasco Rossi...tutto questo a 20 anni ti sembra un sogno, quando poi sviluppi una professionalità ti accorgi che non è così importante.

Nel tuo disco suoni e canti?

Ho sempre cantato come autodidatta, poi quando stavo per registrare il primo disco ho preso delle lezioni di canto, ma diciamo che da cantautore amo le voci espressive, non educate: amo Bob Dylan, De Gregori!

Il tuo rapporto con lo strumento?

Amore e odio! So che è una banalità, ma la chitarra è come una donna: ha la stessa forma, è uno strumento bello, portatile, caldo ma anche terribilmente sfigato perché non ti permette di fare tutto. È una fatica perché devi conquistare ogni singola cosa! Suonare poi non è sempre bello, la musica per me è anche sofferenza, quando non riesci a fare le cose che vorresti, o non riesci a scrivere le canzoni... a me è capitato tante volte!

Quanto posto occupa la musica nella tua vita?

Tantissimo, quasi tutto. Ultimamente ho fatto la scelta radicale di non avere strumenti a casa, per godere del silenzio attorno a me, anzi, per riappropriarmi del gusto del silenzio, che la nostra società ha smarrito. C'è sempre un rumore di fondo nelle nostre vite. C'è un libro di Raymond Murray Shafer, un musicologo canadese, The Soundscape, che analizza come il suono si è evoluto nella nostra società andando sempre più verso un paesaggio sonoro a bassissima fedeltà; tutto ciò ha conseguenze negative sull'evoluzione sociale e psicologica dell'uomo.

 

Prima di salutarci Giuliano mi racconta un esperimento fatto con gli allievi al primo corso estivo di Cluster: li coinvolse in una sound walk, una passeggiata in silenzio in mezzo al bosco con l'orecchio teso a individuare i suoni della natura e la loro spazializzazione: rumore delle foglie, dei ruscelli in lontananza, dei passi stessi... Non tutti hanno la fortuna di frequentare i boschi, ma si può tentare anche in città, o nel silenzio inquinato delle nostre case, scoprendo tutto un mondo di suoni, più o meno piacevoli, a cui non prestiamo mai attenzione, pur sentendoli tutti i giorni... parola di chi, all'indomani della nostra intervista, ci ha provato!

Autore: Giovanna Rossi

Laureata in Scienze Biologiche all'Università Statale di Milano, nel '93 consegue il diploma di recitazione presso l'Accademia dei Filodrammatici di Milano e comincia l'attività teatrale come attrice.

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