Intervista a Luca Codecà: la musica come terapia e percorso di formazione
Da ragazzino, mentre era al liceo, veniva a prendere lezioni di chitarra da Massimo Dell'Omo, che qualche anno dopo l'ha chiamato a insegnare. Cluster allora stava decollando e adesso... beh, sono passati 10 anni e Luca insegna ancora qui! Ci credo che sia stata una bella soddisfazione!
Tu suoni oltre ad insegnare?
"Sì, anche se il mio è stato un percorso ad ostacoli. Poco dopo aver cominciato ad insegnare ho avuto una tendinite e dopo due anni di infortunio ho intrapreso un'altra strada e mi sono avvicinato alla musicoterapia. Ho fatto un percorso di tre anni al CMT di Milano. Poi mi sono iscritto alla Facoltà di Psicologia. Quindi ora sono psicologo e insegnante."
Parliamo della musicoterapia?
"Sì, per me è stata un'esperienza molto formativa. Da allievo avevo vissuto la musica solo dal punto di vista didattico: tanto studio e il tentativo continuo di affinare la tecnica e l'esecuzione. La musicoterapia e la psicologia mi hanno fatto scoprire un altro lato della musica: quello della comunicazione. Di conseguenza è cambiato il mio modo di insegnare. Adesso cerco una bella relazione con gli allievi, perché credo sia la strada migliore per trasmettere passione. La musicoterapia aiuta a esprimere qualcosa di sé attraverso un canale non verbale, che è la musica, svincolato anche dalle conoscenze tecniche. Si può fare musica anche senza avere una quantità enorme di nozioni sullo strumento. Non serve essere musicisti per fare musica."
Mi racconti qualche esperienza significativa del tuo percorso?
"Attualmente lavoro in un centro diurno con pazienti psichiatrici, un terreno un po' complicato, visto che si ha a che fare con forti disagi. Questa è un po' una situazione limite, ma nelle varie esperienze di musicoterapia la soddisfazione maggiore è sempre stata quella di riuscire a far suonare insieme delle persone che non hanno conoscenza dello strumento, condurle a fare musica prima di tutto."
Come accade questo?
"Siamo a contatto coi suoni appena veniamo al mondo, anzi la musica ci appartiene ancora prima della nascita. Abbiamo la percezione del suono fin dagli inizi: quando la mamma canta una canzone tu impari a cantare con lei. Ecco: questa è già una prima relazione con la musica, un primo approccio al cantare insieme, all'imitazione del suono. E contiene già le regole che poi si studiano nella musica d'insieme: ascoltare l'altro e andare insieme."
Cos'è per te la musica?
"Accompagna da sempre la mia vita, sia come passione, sia a livello professione e di relazione con gli altri."
Che rapporto hai col tuo strumento?
"Negli ultimi anni ho ritrovato un buon rapporto, ma in passato non ci andavo molto d'accordo; a causa della tendinite era la mia croce. Ho notato che la chitarra tornava a far parte della mia vita quando l'ho levata dalla custodia e l'ho appesa al muro, in modo da poterla riprendere in mano, anche solo per il gusto di suonarla cinque minuti. E così ci siamo riappacificati."
Tu quindi non suoni in un gruppo. Ti manca questo aspetto?
"Mi manca il piacere di suonare insieme agli altri, per il puro divertimento. Ma tornerà! Per tanto tempo ho pensato di vivere facendo il musicista, quindi con l'ottica del perfezionamento, della performance. Ora sono contento di aver recuperato un rapporto più diretto, più genuino con la musica."
La psicologia influenza il tuo rapporto con gli allievi?
"La psicologia mi aiuta a entrare in relazione con loro, a capire le loro difficoltà. Con gli adolescenti spesso mi rapporto con le loro problematiche, i loro conflitti esistenziali, e anche il senso che danno alla musica, che spesso crea la loro identità di giovani. A quell'età la musica è un mondo."
Lo studio di uno strumento è fondamentale per la crescita di un ragazzo, non credi?
"Sì, perché gli insegna ad affrontare delle sfide, a tollerare delle frustrazioni, a trovare il giusto equilibrio."
Perché la musica e non il calcio, per esempio, o le arti marziali?
"Ci sono molte discipline che possono fornire gli stessi strumenti di crescita. Diciamo che la musica dà un feedback molto forte, perché è tangibile, produci qualcosa di concreto, con le tue mani, e te lo porti dentro. Proprio ieri sera ho osservato attraverso le vetrate di una sala prove un gruppo di ragazzini che suonavano, avranno avuto 14 anni, e si vedeva che godevano tantissimo di fare tre note insieme! Nel suonare insieme c'è uno scambio non verbale molto intenso. Anche l'insegnamento può essere di due tipi: posso mostrare all'allievo quello che deve fare e lui lo riproduce, oppure posso suonare con lui. Sono due cose differenti. Io accompagno sempre i miei allievi, mi piace suonare con loro."
Tu insegni sia agli adulti che ai ragazzini. Che differenze ci sono nell'approccio e nell'apprendimento?
"Quello che mi stupisce è la passione degli adulti: magari vengono a lezione la sera tardi, dopo una giornata di lavoro, e ciò significa che vogliono davvero farlo, che per loro è importante. E questo mi motiva molto. Per quanto riguarda l'apprendimento il bambino si fa meno domande, oppure se le fa, ma prima sperimenta, vuole mettere mano. L'adulto fa esattamente il contrario: ha bisogno di una spiegazione prima di provare."
Insegni a Cluster da 11 anni, ti piace?
"Sì, mi piacciono l'ambiente e il rapporto con i colleghi. Qui non ci sono rivalità e competizioni. Si entra volentieri ad ascoltare la lezione di qualcun altro e magari alla fine ci si scambiano dei consigli. C'è una grande collaborazione. E questo credo sia raro."