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Tango e non solo: Paola Fernandez Dell'Erba alla ClusterHouse

'LATINOAMERICANA'

Abbiamo incontrato la cantante argentina Paola Fernandez Dell’Erba, laureata in Beni Musicali ed Etnomusicologia all’Università degli Studi di Milano e insegnante a Cluster dal 2008. Sperimentatrice vocale e innamorata dell’espressività stilistica tanghera, si è esibita in numerose città dell'Argentina e in Europa e vanta collaborazioni con musicisti blasonati della scena musicale argentina ed europea. Da Piazzolla alle riletture di Mercedes Sosa, Chabuca Granda e Chavela Vargas, il trio guidato da Paola Fernandez Dell’Erba coinvolgerà il pubblico della ClusterHouse in un road movie sonoro, fra tango, jazz e folklore sudamericano.
'Latinoamericana' vuole essere un viaggio nel cuore sincretico del Sudamerica, al crocevia di variegate derivazioni popolari e culturali; la proiezione sonora delle migrazioni, dei dolori e delle rinascite di una terra indomita.

Con il chitarrista Raul Balardin ed il percussionista Massimo Lo Giudice, che la accompagnano in 'Latinoamericana', è stata fin da subito sintonia?

Quando ho avuto l’idea del viaggio intorno al Latinoamerica attraverso la musica, ho cercato dei musicisti che potessero raccontare profondamente lo stile che ognuna di queste musiche folkloristiche rappresenta: non è stato facile, dovevano essere delle persone che- oltre alla bravura strumentale avessero tra le dita i diversi ritmi e i modi di suonare tipici di ogni paese. L’ America Latina ha una radice comune, profonda, ma in ogni tradizione le contaminazioni e le esperienze hanno dato vita a modi di sentire diversi. Ho incontrato Raul, che conosce perfettamente il modo di suonare e l’essenza di ognuno di essi, lui viene dal sud del Brasile, dove la frontiera con Argentina, Uruguay e Paraguay è molto presente e la contaminazione tra i diversi ritmi è essenziale e naturale… poi ama il repertorio folkloristico latinoamericano e quindi sì, è stata subito sintonia! Max Lo Giudice invece è un amante dei ritmi e delle percussioni del mondo, è un ricercatore, oltre che un percussionista meraviglioso, e questo nostro incontro è stato magico!

Un progetto come 'Latinoamericana', può- a suo avviso- avere anche una valenza di indagine dei rapporti tra musica, identità e resistenza, al pari di contributi scritti sul tema della musica come mezzo per la costruzione identitaria, per la riappropriazione dei luoghi?

Sì, la musica latinoamericana porta con sé la storia delle diverse migrazioni che conformano la cultura dei diversi paesi. Gli echi delle popolazioni originarie mescolati alle chitarre europee, le danze e le melodie arrivate dal vecchio continente si sono viste arricchire e trasformare dalla presenza degli africani portati dalla colonia come schiavi e che, come succede spesso, grazie alla musica hanno trovato libertà e sfogo e hanno composto così la musica popolare tipica delle nostre terre.

Lei è laureata in Etnomusicologia…ritiene che l’ambito e l’oggetto di ricerca della etnomusicologia e degli studi di popular music si stiano progressivamente sovrapponendo?

Certo! L’ etnomusicologia lavora “sul campo”, in questo caso- ad esempio- ricercando come i viaggi delle popolazioni (migrazioni, colonie, ecc.) influenzano, contaminano e cambiano la musica popolare nei diversi paesi. La Popular Music, come concetto, è la matrice dell'espressione popolare della cultura musicale dei popoli, espressa nelle forme e nei contenuti come rappresentativa di un territorio.

L’ etnomusicologia, nella visione “classica", ha come proprio ambito di studio la musica di tradizione orale, ossia tutta la musica che risulta prodotta in aree o culture collocate al di fuori della tradizione musicale europea scritta e di tipo colto. Lei ritiene che le divisioni tra musicologia eurocolta, studi di popular music ed etnomusicologia siano ormai superate, anche alla luce dell’attuale impostazione fortemente interdisciplinare della ricerca?

E’ una vecchia discussione questa, che ha più a che vedere con una visione del mondo, una ideologia…  la musicologia studia la musica da un punto di vista teorico, è nata come un complesso di discipline che si occupavano dei diversi aspetti dei fenomeni musicali, stili, forme, modalità, studi filologici, storici. E, visto che negli anni ha sviluppato forti legami con altre discipline umanistiche, come l’antropologia, la sociologia, la pedagogia, ecc., non ha più molto senso parlare di musicologia “eurocolta” e “etnomusicologia”, perché la musica è un insieme di fenomeni che cambiano, si contaminano, si trasformano, e… a volte si scrive e altre no! Ma il discorso è molto ampio e ci vorrebbe un bel simposio per discutere di questo…

Nell’Olimpo delle voci femminili che hanno trasformato la canzone latinoamericana della metà del XX secolo ci sono sicuramente Violeta Parra, Mercedes Sosa, Chavela Vargas e Chabuca Granda. Quale di queste inarrivabili interpreti dell’anima rivoluzionaria dell’America Latina avverte come maggiormente vicina alla sua sensibilità?

Difficile anche questa domanda, ognuna di esse ha portato bellezza e novità alla musica latinoamericana, sono state tutte anche grandi ricercatrici della musica popolare, oltre che cantanti dalla voce unica. Mercedes Sosa è stata una grande interprete del mio paese… quindi sono cresciuta ascoltandola e amandola, Violeta Parra ha fatto un lavoro di raccolta di canzoni popolari perdute, oltre ad aver composto dei brani indimenticabili, che sono diventati veri e propri “inni” esistenziali (pensate a Gracias a la Vida ad esempio). Chabuca è quell’incontro musicale ricchissimo tra Europa e Perù e Chavela è stata una rivoluzionaria, vestita da uomo, con una voce che sprigionava tequila, mal d’ amore e un Messico da sogno… non saprei scegliere!

"Mi libertango es libre, poeta y callejero, tan viejo como el mundo, tan simple como un credo". (Il mio libertango è libero, poeta e randagio, vecchio come il mondo, semplice come un credo).
Questo verso di Libertango- composto da Horacio Ferrer per il celebre brano, nato come strumentale- ben esprime lo spirito contaminante dell’inventore del nuevo tango. Cosa pensa di Piazzolla e della sua rivoluzione artistica e socio-culturale?

Piazzolla ha rappresentato in pieno l'annoso dibattito tra musica popolare e non. Lui amava la musica di Buenos Aires ma aveva vissuto a New York, studiato a Parigi, si era “contaminato”. La verità è che era un artista aperto a 360 gradi e per questo non poteva essere ben accetto in nessun ambiente. Piazzolla rappresenta l'estrema indipendenza intellettuale, il coraggio di fare una sintesi di tutto senza dover entrare in alcuna parrocchia… Ci ha impiegato molto tempo a farsi accettare, crescendo da apolide della musica. Ma poi è diventato uno degli autori più eseguiti al mondo, da chiunque: musicisti classici, improvvisatori jazz e cantanti pop- rock (e i tangheri ovviamente).  Piazzolla per me è l’evoluzione naturale del tango.
Io credo solo nelle contaminazioni!

Il concerto 'Latinoamericana' si terrà in un palcoscenico d’eccezione, quello della ClusterHouse. La scuola di musica Cluster, nella quale lei insegna ormai da anni, è all’avanguardia nell’unire la dimensione prettamente formativa a quella del momento performativo, inteso come incontro?

Assolutamente sì, la musica è incontro! La musica è nata per comunicare emozioni, tra musicisti, tra musicista e pubblico… E’ questo è il messaggio che a Cluster cerchiamo di trasmettere ai nostri studenti: la bellezza dell’incontro tra anime attraverso la musica. La musica è il modo più alto per comunicare che noi esseri umani abbiamo, aldilà della parola che a volte confonde, veicola concetti, pregiudizi… quando tu suoni con qualcuno stai comunicando dallo spazio del cuore e non dalla mente. Senza questo incontro la musica perde il suo senso, la sua matrice. 

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Autore: Claudia Erba

Sarda e- parafrasando il cantautore Piero Marras, “sardopatica”, vive nel Nord-Sardegna con incursioni nel Continente. Laureata in giurisprudenza pentita, è giornalista di musica e costume. Fondatrice di “Verbatim Ufficio stampa”, promuove artisti. Accumulatrice seriale di libri, dischi, sogni e gatti.