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Cluster in Cambogia: una bella storia che sta diventando tradizione

Stessa città (la piccola e remota Stung Trong: tre ore di auto dalla capitale Phnom Penh), stesso posto (il centro giovani diretto da Padre Luca Bolelli, missionario del Pime), stessa scuola (il grande istituto statale di Stung Trong dove si svolgeva il grosso dell'attività didattica di Massimo), ma con alcune novità rispetto alla passata “edizione”.Stessa città (la piccola e remota Stung Trong: tre ore di auto dalla capitale Phnom Penh), stesso posto (il centro giovani diretto da Padre Luca Bolelli, missionario del Pime), stessa scuola (il grande istituto statale di Stung Trong dove si svolgeva il grosso dell'attività didattica di Massimo), ma con alcune novità rispetto alla passata “edizione”.

«La novità dell'anno – spiega Massimo, che ha svolto l'attività didattica fra il 30 dicembre e il 15 gennaio – è stata quella del gruppo di musica d'insieme. È venuto con me mio figlio Filippo, che ha curato la parte di basso e batteria. Inoltre presso il centro giovani stavano costruendo una sala prove. Avevo pensato di fare formazione la prima settimana e nella seconda di attivare il corso di musica d'insieme nel centro. I corsi però li facevamo nella scuola statale. Quattro ore di lezione al giorno: due di chitarra e due di basso e batteria che Filippo faceva nell'aula vicina. Poi la sera ci trovavamo in questa sala prove con chi poteva venire e facevamo musica d'insieme».

 

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Gli allievi erano solo in parte quelli dell'anno scorso. «Ce n'erano che sono cresciuti e stanno diventando bravi. Per esempio c'era un chitarrista che sapeva già fare le parti solistiche, poi c'era qualcuno che aveva già cominciato col basso», dice Massimo. Il metodo è stato quello già collaudato: entrare in sintonia con i ragazzi con una selezione delle hit pop cambogiane dall'armonia semplice (il giro di do è universale...) e costruire con esse un repertorio da eseguire dal vivo nel corso di un grande spettacolo finale di fronte che coinvolge tutta la scuola, «con le solite 40 chitarre d'accompagnamento ma anche con la band».

Strumentazione complessiva: chitarre, casse, batteria elettronica, basso elettrico. La struttura della giornata-tipo non è stata molto diversa rispetto all'anno scorso, «a parte l'impegno di dover portare avanti e indietro dal centro e dalla sala prove tutta la strumentazione. Abbiamo avuto per il primo periodo il cavallo: arrivava un vecchietto con un carretto. Poi ci ha aiutato un ragazzo con un motorino e un carrettino dietro che portava gli strumenti e veniva a prenderci la sera».

Adesso, dopo due esperienze passate “sul campo”, è tempo di pensare un po' più in grande. «L'idea – racconta Massimo – è quella di trovare una figura che possa trasferirsi lì. Un ragazzo, un musicista, che possa stare lì un anno. Ovviamente imparando la lingua, che lì è fondamentale. Il mio problema era quello: con la musica non ho problemi, però quando volevo comunicare dei concetti umani importanti non sapevo come fare. Quindi ogni tanto veniva Luca e lì cambiava la situazione: se tu parli la loro lingua, la comunicazione diventa più facile. Questa figura può essere formata da noi qui a Cluster e poi potrà rimanere a Stung Trong, magari con il supporto ogni sei mesi di insegnanti di Cluster che abbiano voglia di fare esperienza in una situazione del genere, coordinando e continuando l'attività».

Sfruttiamo questo spazio per estendere la ricerca: se hai 22-30 anni, se hai un diploma musicale e vuoi fare un'esperienza di vita importante mettendoti in gioco, questa può davvero essere l'occasione per fare qualcosa di bello e umanamente importante.

 

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L'obiettivo fondamentale, come riconosce Massimo, è mantenere una continuità del progetto cambogiano: «Io volevo puntare – infatti ho scambiato un sacco di mail con Padre Luca prima di andare – a creare una tradizione. Nel momento in cui crei una tradizione e uno “zoccolo duro” di persone, intorno a questo nasce tutto il resto e quindi diventa una cosa bella, importante».

La Cambogia è un paese molto distante dagli standard occidentali di “benessere” eppure si rivela ai suoi visitatori estremamente ospitale: «È un posto dove stai bene perché ti accolgono, ti trattano bene, ti sorridono e sono contenti. La Cambogia è il concetto di entropia sviluppato al massimo: in questo enorme disordine trovano il massimo equilibrio. C'è una grande tranquillità di fondo».

E poi esiste in quel tipo di paesi una dimensione collettiva della vita, un senso di comunità che in Occidente si è perso da molto tempo o che perlomeno è assai difficile da rintracciare al giorno d'oggi: «Una cosa molto bella – conclude Massimo – è che tu arrivi con gli strumenti (una cosa faticosa: tre amplificatori, la batteria, il basso e così via) con questo carrettino e tutti i ragazzi, sia quelli che suonano che quelli che non suonano, vengono e ti aiutano. In cinque minuti porti su gli strumenti e in cinque minuti li porti via. Senza fare fatica, perché c'è la partecipazione da parte di tutti».

 

 

 

 

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