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Cluster in Cambogia: ecco com'è andata l'avventura delle 40 chitarre

 

 

Facciamo un piccolo passo indietro. È l'estate del 2016 quando comincia a prendere corpo il progetto del corso di chitarra. Padre Luca Bolelli, missionario del Pime impegnato da anni in Cambogia, viene mandato a fare una chiacchierata con Vicky da padre Alberto, altro veterano dell'organizzazione che conosce bene Cluster dai tempi del suo trasferimento nella sede di via Mosè Bianchi.

 

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L'idea di portare la musica ai ragazzi di Stung Trong – questo il nome della località sulle rive del fiume Mekong – era vagheggiata da padre Luca già da qualche tempo senza mai trovare una pianificazione concreta. Così Vicky gli ha subito domandato la cosa più semplice: «Che cosa potremmo fare insieme?».

L'intesa è scattata immediatamente e il progetto, organizzato dalla Fondazione Pime Onlus in collaborazione con Cluster, si è delineato in maniera rapida e precisa: portare un vero corso di chitarra a quaranta ragazzi e ragazze della grande scuola di Stung Trong, tutti principianti assoluti, per diffondere la musica come linguaggio universale e, soprattutto, come forma di divertimento sana e “pulita”. Con una quota d'iscrizione simbolica di 10 dollari, chi avrebbe accettato di partecipare avrebbe anche avuto a disposizione una chitarra personale per tutta la durata del corso. Con un appetibile premio finale: chi avesse seguito tutte le lezioni avrebbe potuto tenere lo strumento.

A quel punto era tutto pronto per mandare Massimo in missione per conto di Cluster. Ma la Cambogia non è l'Italia, e il primo impatto è stato forte. «In giro non si vedono anziani – racconta Massimo – ma tantissimi giovani e bambini. L'età media è bassissima». In effetti la Cambogia ha alle spalle una storia recente fra le più travagliate al mondo: a mettere in ginocchio la popolazione furono prima i bombardamenti e le mine antiuomo degli americani (l'invasione statunitense della Cambogia, dove andavano a rifugiarsi i vietcong, fu un drammatico “effetto collaterale” della guerra in Vietnam), poi negli anni Settanta la sanguinaria dittatura di Pol Pot e dei khmer rossi, che nell'utopia di uno spietato comunismo agrario fece morire un numero impressionante di connazionali – le stime variano da 800mila persone a 3 milioni – o di stenti o nei campi di lavoro forzato.

 

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Il centro giovani di padre Luca, che si trova dall'altra parte del Mekong rispetto alla scuola, ospita una ventina di ragazzi e ragazze di età fra gli 11 e i 17 anni provenienti da contesti familiari particolarmente difficili: storie di alcolismo, genitori morti o assenti, malattie. Dal lunedì al venerdì vivono in comunità mentre nel fine settimana tornano in famiglia. Sono loro che, dubitando della solerzia del guardiano notturno della scuola, i primi giorni hanno portato avanti e indietro dal centro le quaranta chitarre acustiche per paura che venissero rubate.

Le giornate degli studenti iniziano sempre nello stesso modo: alle 7 di mattina si fa l'alzabandiera e il preside, il quale peraltro ha selezionato i quaranta partecipanti al programma di chitarra, fa un discorso di una ventina di minuti. Solo allora la giornata può davvero partire.

Ogni giorno Massimo si armava di santa pazienza e accordava una ad una le quaranta chitarre. Il suo corso seguiva un programma intensivo di due ore al giorno per un totale di 26 ore per ciascun gruppo di allievi. «Facevo una prima lezione dalle 11.30 alle 13.30 – spiega – poi riprendevo dalle 16.30 alle 18.30. Infine andavo al centro giovani e, siccome anche lì c'erano ragazzi che volevano fare il corso di chitarra, ho messo a posto quattro chitarre e la sera dalle 20.30 alle 21.30 facevo lezione con loro».

 

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Posizione delle note, accordi in prima posizione, qualche barré e qualche scala pentatonica: i ragazzi, per non avere mai toccato una chitarra prima di allora, sono attenti, si impegnano e soprattutto imparano rapidissimamente le basi dello strumento. Nel giro di pochi giorni sono già in grado di suonare autentici classici della canzone cambogiana come Mek Pleang Hery, che è un po' come La canzone del sole in salsa khmer: la conoscono tutti.

Per questo, quando si crea la giusta empatia attraverso la musica, le barriere linguistiche diventano un fatto irrilevante: la comunicazione fra Massimo e gli studenti avveniva perlopiù a gesti, e tanto bastava per capirsi al volo perfettamente.

«Lavoravamo – ricorda Massimo – sulla ritmica della mano destra, sulle posizioni degli accordi, sulle note singole... Io avevo la mia chitarra, un amplificatore e li accompagnavo sempre. Il corso ha avuto un successo enorme perché per loro era una cosa nuova, mai vista. Alla fine hanno fatto 40 minuti di concerto».

L'esibizione finale è stata un grande evento che ha visto coinvolti tutti i ragazzi della scuola, fra musicisti e pubblico, in cui ognuno ha fatto la sua parte. Vincendo la timidezza iniziale, i giovani cantanti hanno suscitato l'ovazione dei compagni quando partivano le prime note delle canzoni cambogiane più famose. Questa è stata l'intuizione di padre Luca: puntare sul repertorio locale per far scattare il coinvolgimento emotivo di tutti. Un canale di comunicazione che ha funzionato alla grande.

 

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«Non posso negare – dice padre Luca – che il corso sia andato molto meglio di quanto potessi immaginare. Ci eravamo preparati all'idea di perdere parecchi studenti lungo il cammino e invece non ne è mai mancato neppure uno! Con l'aggravante che i corsi si tenevano a orari a dir poco scomodi: durante l'intervallo tra le lezioni scolastiche del mattino e del pomeriggio (molti quindi saltavano il pranzo) e alla fine dell'orario pomeridiano, dopo una giornata spesa sui banchi. Questo la dice lunga sull'interesse che i ragazzi hanno dimostrato».

Cosa li ha spinti? Da una parte sicuramente la novità della proposta: Stung Trong è in una zona periferica della Cambogia, dove la musica è ascoltata ma non suonata. L'idea di poter tenere in mano una chitarra vera è fantascienza per molti ragazzi. Dall'altra parte, la modalità di insegnamento: e qui Massimo ha messo tutta la sua passione ed esperienza. "Quando suona ringiovanisce", è stato il commento di una persona nel vedere Massimo insegnare.

«Quella è una scuola molto grande – spiega padre Alberto – con problemi notevoli fra i ragazzi, anche di tossicodipendenza. Dopo l'esibizione l'intervistatrice ha chiesto ai ragazzi di lasciare un ricordo, e il messaggio di molti di loro hanno esprimeva l'idea che ci si può divertire anche senza le droghe».

Per questo la passione di Massimo ha fatto centro: quando un insegnante riesce a trasmettere il proprio entusiasmo e far amare la sua materia, il “contagio” va ben al di là dei contenuti delle lezioni e investe il modo di vedere la vita. Questo in Cambogia manca molto: i genitori per un verso, gli insegnanti per un altro lasciano spesso i ragazzini in balia delle circostanze, costretti ad arrangiarsi.

 

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«È la prima volta che realizziamo un progetto del genere – spiega padre Alberto – addirittura coinvolgendo una scuola di musica di Milano, portando un maestro, comprando gli strumenti. È evidente che ha avuto successo perché la professionalità di Massimo è stata in grado di intercettare immediatamente il sistema didattico migliore. Anche perché la musica, come i numeri, è un linguaggio universale: un Fa è lo stesso accordo sia qui che là».

Il sogno? Poter continuare: «Abbiamo trovato troppo interesse da parte dei giovani per chiudere una porta così bella – conclude padre Luca – La musica è un linguaggio che tocca il cuore e, in Cambogia come in Italia, i giovani la amano moltissimo. La Cambogia è stata umiliata da vent'anni di guerra e la guerra non distrugge solo gli edifici. Le nuove generazioni stanno pagando pesantemente questa triste verità: sono i figli delle macerie, di un vuoto educativo che li rende facili prede di una visione della vita altrettanto vuota, come quella consumista che purtroppo sta arrivando al galoppo anche da queste parti. La sfida grande ed entusiasmante è allora quella di dare loro in mano gli "strumenti" che facciano suonare le corde più vere della loro umanità. E in questo la musica può fare tanto. Grazie di cuore quindi a tutti gli amici di Cluster, Massimo e Vicky in prima fila, per averci permesso di aprire questa nuova porta. Aiutiamoci a tenerla aperta: è un dono per tutti».

Alla fine tutti e quaranta i ragazzi hanno in premio la loro chitarra perché hanno partecipato fedelmente a tutte le giornate di studio: anche questa è una cosa molto rara in Cambogia. «Luca era un po' rammaricato – scherza padre Alberto – perché sperava di tenersene qualcuna, ma ha dovuto mollare tutte e quaranta le chitarre». Missione compiuta.

 

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