Rossana Casale a Cluster. Arte e Voce
Un curriculum ricco di soddisfazioni, dal Festival di Sanremo al musical, passando per il cinema. Rossana Casale è un’artista poliedrica e generosa. Da una ventina d’anni ha scoperto l’emozione di vivere il palco dall’altra parte come insegnante. A Cluster porterà il suo prezioso contributo dopo oltre quarant’anni di carriera. Saranno sei appuntamenti a cadenza mensile che termineranno con un concerto e la produzione di una demo. Così Rossana approda nella nostra scuola con la MasterClass Artevoce che prenderà il via il prossimo 26 gennaio.
Per insegnare ci vuole generosità e altruismo.
In cosa consiste Artevoce?
Dopo una vita spesa nella musica in tutte le sue sfaccettature sono pronta a guidare gli allievi. Non da produttrice ma da maestra, da artista che ha conosciuto tante cose ed è impaziente di trasmetterle.
Sono molto contenta dell’opportunità che Cluster mi ha dato. Mi hanno detto che è una scuola in cui si respira una bella energia.
Credo molto nella musica e nel canto come salute mentale e credo anche che si debba fare un percorso su se stessi per trovare le proprie capacità artistiche.
La masterclass è rivolta a studenti che hanno già delle competenze tecniche. La tecnica è importante per chi ha già un suo talento da sviluppare. Tutti nasciamo con una nostra caratteristica e anche nella voce bisogna scoprire e migliorare per esprimere la nostra arte.
Ognuno ha i suoi punti di forza e deve impegnarsi per venir fuori al meglio. Chi nasce margherita resta margherita e non diventerà mai un altro fiore. Io ho sempre avuto una voce che mi rendeva riconoscibile e non sarei stata me stessa se avessi usato una voce piena, magari in un repertorio non adatto alle mie corde.
Credo che chi si avvicina al canto debba prima di tutto percepire il suo suono, la ’nota base’ che lo renderà capace di esprimere le sua arte con la vocalità.
Uno degli errori più frequenti che ho notato, anche nei talent show televisivi, è quello di voler cantare un brano che non ha niente a che fare con la personalità dell’interprete oppure di voler assomigliare vocalmente a qualcuno già famoso.
Anche l’assenza di autori rende difficile una diversificazione. Trovo che la musica sia tutta uguale perché chi scrive sono sempre i soliti.
Tenterò di cogliere la voce naturale dei ragazzi e la loro anima, accompagnandoli in un percorso culturale e in un viaggio attraverso autori e interpreti che li hanno preceduti.
La storia della didattica nel canto moderno è piuttosto recente. Come hai iniziato a cantare?
Ho iniziato ascoltando i dischi, come tutti. Era il periodo della West Coast. Gli America, Rickie Lee Jones, Joni Mitchell. Poi ho conosciuto il jazz e il funky con Al Jarreau, Chaka Khan, Herbie Hancock, gli Earth Wind and Fire. Avevo solo quattordici anni quando sono stata chiamata come corista da Claudio Dentes, il produttore di Elio e le Storie Tese che era compagno di scuola di mia sorella Angela. Andavamo tutti nella stessa scuola e mi aveva sentito per caso mentre parlava al telefono con lei. Io stavo cantando accompagnandomi con la chitarra e lui credeva che fossi un disco. Venni segnalata a Ricky Gianco e da quel momento si sparse la voce. Eravamo le sorelle Casale e cantavamo un po’ di tutto: dalle colonne sonore alla musica dance, collaborando con grandi nomi come Augusto Martelli e Paola Orlandi, sorella di Nora, indiscussa numero uno del panorama musicale legato alla coralità nel pop italiano. Poi Angela ha deciso di smettere mentre io ho continuato.
Hai avuto anche un percorso legato allo studio tradizionale?
Si. Ho frequentato il Conservatorio per due anni ma poiché ero troppo giovane per studiare canto lirico, mi ero ufficialmente iscritta alla classe di percussioni. Seguivo anche un corso di musica elettronica dove avevo come compagno di classe Franco Battiato.
Ma la mia passione era un’altra. Mi infiltravo nella classe di canto e alla fine la professoressa decise di darmi lezioni di nascosto. Mi ricordo che all’audizione portai Blue di Joni Mitchell che poco aveva a che fare con la lirica. Lei lo apprezzò moltissimo.
Due anime quindi. Il classico e il moderno. Difficile farle coesistere?
Direi di si. Infatti ho dovuto scegliere. O il Conservatorio o la strada dei live.
Scelsi quella. Anche perché continuavano a chiamarmi per i turni in sala di registrazione. Divenni corista di Alberto Fortis quando era all’apice del successo.
E' stato lui ad incoraggiarti per il primo disco?
Io ero felicissima come corista. Era ciò che volevo fare. Non pensavo lontanamente di diventare una solista. Nel mondo della discografia si era sempre alla ricerca di nuovi progetti interessanti. Fu Loredana Bertè a fare il mio nome e incisi il mio primo singolo, Didin, scritta insieme ad Alberto. Il resto venne inaspettatamente senza che io forzassi nulla. Devo dire che molte cose mi sono capitate per caso. La vita è fatta di occasioni.
Anche per bravura, direi.
C’è una profonda verità. Se sei portato per qualcosa resti portato, altrimenti finisce lì.
Hai sperimentato anche il musical.
Un altro caso. Ero amica del ballerino Raffaele Paganini che aveva deciso di mettere in scena Un americano a Parigi riuscendo a coinvolgermi nell’impresa. Non c’erano certo scuole di musical come quelle americane. Parliamo di trent' anni fa, adesso lo scenario è diverso. Pensa che io insegnavo a cantare ai ballerini scegliendo brani non troppo impegnativi per loro. Forse già covavo un talento da docente, oltre che canoro. Poi sono arrivati altri musical come A qualcuno piace caldo o La piccola Bottega degli orrori e prima ancora Sanremo per ben cinque volte.
Hai sempre fatto un tipo di musica tutt’altro che commerciale.
L’ho detto e lo ribadisco. La mia carriera è nata per caso e ci ho messo l’anima per lasciare un segno positivo. Sapevo cosa non volevo cantare. Per me la qualità è stata la cosa più importante. Ne ho pagato il prezzo. Non sono mai stata prima in classifica.
Non sarai mai stata prima in classifica, ma hai cantato dei piccoli gioielli come A che servono gli dei, Destino, Brividi, Gli amori diversi, per citarne alcuni. Fino a quando l’insegnamento è entrato nella tua vita. Come è successo?
Nel 2002 sono stata direttrice dell’Accademia di Operazione Trionfo su Italia Uno, il padre di tutti i talent show e da li ho avuto il mio primo approccio col mondo dei ragazzi. Un’esperienza molto intensa. Ne vivevo totalmente le emozioni, i successi e le cadute. Non è stato facile gestire il lato psicologico.
Da allora sono passati 17 anni. Una tua riflessione sui talent e la musica di oggi?
Parliamo di Amici e di X Factor. Sono due programmi sostanzialmente diversi. Non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Il primo nasce dal reality, poi diventa la casa discografica di Maria De Filippi, che collabora con le major; il secondo nasce dall’idea di un discografico inglese, Simon Cowell, per trovare talenti e farli crescere all’interno di un programma tv in modo da dargli la possibilità di avere un grande ascolto. Poi è diventato anch’esso televisione e il mezzo ha preso il sopravvento sul talento discografico. Ho lavorato anche a XFactor sia come producer che come vocal coach e l’ho vissuto da dietro le quinte. In una settimana si mette su un grande spettacolo dove a dettare legge sono immagini e tempi televisivi.
Per quanto riguarda i ragazzi che oggi cercano di emergere nel mondo musicale è difficile per noi capire il loro tempo. I ragazzi ora sanno ciò che stanno facendo. Con altre modalità. Vivono sui social, reggono cose che noi non avremmo mai retto, sono più preparati alle delusioni, a un solo passaggio e un’esclusione in tv. Tutto in tempi brevissimi.
Noi suonavamo nelle cantine e nei locali. I discografici ci venivano a scoprire e si preparava un progetto. Non eravamo artisti da talent. La musica era sacra, era cultura, mai avremmo pensato di far sapere a tutti gli affari nostri. Adesso per farsi conoscere ci sono You Tube, X Factor o un video autoprodotto.
Grazie Rossana! Non vediamo l'ora di averti a Cluster per questa bellissima esperienza di ArteVoce.
Vuoi saperne di più sulla Masterclass e su come partecipare? Clicca qui.