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Addio a Jack Bruce, maestro del basso rock

Non siamo qui per fare del cordoglio spicciolo. Jack era anziano e – pare – malato da tempo. Ma la sua scomparsa ci costringe a fare i conti con l'eredità musicale che ha lasciato.
Abbiamo detto "seconda generazione". Musicisti come Bill Wyman, con i Rolling Stones, e Paul McCartney, con i Beatles, all'inizio degli anni '60 avevano aperto la strada a un esercito di aspiranti bassisti e avevano fatto scuola. Ma si trattava di linee di basso al servizio dell'economia generale dei pezzi, mai di momenti di dirompente vitalismo. La parte da protagonista veniva lasciata ai riff di chitarra o alle armonie vocali.
Facciamo un salto in avanti. All'inizio degli anni '70 ci imbattiamo in pezzi come Heartbreaker dei Led Zeppelin e N.I.B. dei Black Sabbath, in cui il basso distorto di John Paul Jones e Geezer Butler fa letteralmente tremare le casse degli stereo. Nel frattempo deve essere successo qualcosa.
È qualcosa che va cercato da qualche parte a metà degli anni '60. Veri e propri virtuosi delle quattro corde come John Entwistle degli Who e Jack Bruce dei Cream avevano stravolto ogni regola. Improvvisamente era diventato possibile concepire pezzi in cui l'assolo veniva lasciato al basso oppure comporre strazianti blues basati interamente su un riff di basso.
Jack Bruce era uno dei primi bassisti "a tutto tondo": di estrazione jazzistica (era un notevole contrabbassista), amava anche sperimentare con bassi fretless e a sei corde. E aveva una voce unica per un bianco. Se Eric Clapton era l'ego narcisista e perfezionista dei Cream, Jack ne era l'anima cupa e gutturale.
Ora che non c'è più possiamo solamente ripassare la sua lezione, con più ammirazione che mai.

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