Cosa ho imparato da “The Endless River” dei Pink Floyd
David Gilmour aveva promesso "un album dei Pink Floyd da 21esimo secolo". Nonostante il lavoro di remastering e l'aggiunta di parti strumentali, stilisticamente The Endless River rimane affine a The Division Bell. Materiale che normalmente sarebbe finito come contenuto speciale in un'ipotetica edizione deluxe dell'album. Ma – business is king – si è pensato di presentarlo come il ritorno dei Pink Floyd. Un'operazione perfettamente riuscita: The Endless River è stato fra i dischi più venduti del 2014.
Evidentemente i fan della band sono soddisfatti. Ma al di là di ogni giudizio di valore – di per sé è un ascolto piacevole, pur senza grandi guizzi artistici – l'aspetto più interessante del disco non è la musica. Una volta per tutte, viene mostrata l'attività del musicista per quello che è: mestiere e tecnica.
Come diceva Edgar Allan Poe nel saggio Filosofia della composizione: "È mia intenzione dimostrare che nessuna parte di essa [la poesia The Raven, ndr] fu dovuta al caso o all'intuizione – che l'opera procedette, passo passo, al suo compimento con la precisione e la rigida conseguenza di un problema matematico".
In campo musicale esiste da sempre una sottocultura che non si stanca di creare nuovi santi laici sotto l'epiteto di "geni": i Beatles, Frank Zappa, i Queen e – soprattutto – i Pink Floyd sarebbero gli angeli della dea Musica scesi in terra a indicarci la Via, perfetti e infallibili.
È una mentalità assai ingenua. I grandi album sono il risultato finale di un lunghissimo lavoro di stesura dei pezzi, arrangiamento, prove, ritocchi, aggiunta di parti e mixaggio. Pochi immaginano che un capolavoro come Time è nato da questa demo di Roger Waters, con tanto di chitarra scordata e armonie approssimative.
The Endless River mostra proprio questo. La musica non nasce da sé, viene creata un pezzo alla volta. Ognuno dei brani del disco (fatta eccezione per Louder Than Words, l'unico cantato) potrebbe essere l'intro di qualsiasi pezzo dei Pink Floyd. La ricetta è quella collaudata: lunghi tappeti di tastiere, giri armonici basati sull'alternanza maggiore/minore, l'immancabile assolo di Gilmour fatto di note fondamentali.
Nessuna metafisica della composizione musicale, dunque. C'è solo la bravura nel songwriting e negli arrangiamenti. E in questo – va detto – i Floyd sono dei maestri.