Glass Onion: un enigmatico John Lennon per un giallo contemporaneo
Un mese prima di Natale, il 23 novembre 2022, è uscito al cinema Glass Onion – Knives Out, seguito del fortunato Cena con delitto - Knives Out, giallo classico scritto e diretto dal cineasta britannico Rian Johnson e diventato uno dei film più apprezzati del 2019. Il titolo del nuovo capitolo di questa mini-saga cinematografica incentrata sui casi e sulle avventure del detective Benoit Blanc non è passato inosservato soprattutto ai fan dei Beatles, in quanto riprende esattamente una canzone scritta e registrata dai Fab Four nel mitologico 1968, anno d’uscita del loro celeberrimo white album (che vede al suo interno anche Glass Onion, appunto). Mentre il film di Johnson miete consensi da pubblico e critica, fornisce anche a noi un eccellente assist per riraccontare la strana storia di una delle canzoni meno note dei Beatles.
Opera soprattutto di John Lennon, Glass Onion è considerata dai più esperti esegeti e interpreti dell’opera del quartetto di Liverpool come un semplice sfogo/divertissement volontariamente criptico del futuro autore di Imagine. A dire la verità, lo stesso Lennon ha più volte affermato che il testo frammentario e autoreferenziale del brano non vuol dire assolutamente nulla, se non cercare di confondere i più ossessionati ricercatori di messaggi subliminali nella musica dei Beatles attraverso una serie di citazioni fuori contesto ai loro lavori precedenti.
L’allora ventottenne John era, in particolare, arcistufo della leggenda metropolitana passata alla storia come Paul is dead e di tutte le follie più o meno connesse con quella strampalatissima teoria. In tutto questo, ovviamente, non vanno dimenticate le ovvie implicazioni lisergiche tipiche dei tardi anni 60 né il fatto che Lennon fosse apertamente “in ricerca”, in quello stesso senso. Più in generale, tutti gli artisti dell’epoca stavano sperimentando con la casualità e l’istintività della loro ispirazione, cercando di capire se e quanto la lavorazione lucida della loro prima ispirazione creativa aumentasse o diminuisse la bellezza del risultato finale. E Lennon in particolare era molto attivo su questo fronte.
Ian MacDonald, uno dei massimi analisti dei Beatles e della loro opera, nota anche che lo stesso cantautore covava sentimenti ambivalenti relativi tanto alla sua fascinazione per i giochi di parole più o meno oscuri, quanto al fatto che il pubblico potesse recepire questo o quel messaggio nelle sue canzoni, a prescindere dal fatto che ci fosse veramente o meno. Quale che fosse lo stato d’animo di John, comunque, dal punto di vista esclusivamente musicale Glass Onion è un lineare brano rock poco impegnativo, relativamente riuscito, impreziosito ed elevato dal contributo di una sezione di archi. Non la peggiore composizione lennoniana di quel periodo ma nemmeno così valida da finire tra i brani irrinunciabili (anzi).
Il testo enigmatico e incastrato a forza nella metrica, come nota il solito MacDonald, è al limite del non-sense e, come abbiamo visto, serve a Lennon per prendere in giro chiunque abbia cercato nei testi beatlesiani chissà che significati reconditi, giocando proprio sulla sua immagine della “cipolla di vetro” evocata nel titolo (e quindi nel ritornello): un oggetto stratificatissimo, denso di vari livelli di lettura eppure trasparente, quindi incapace di nascondere ciò che contiene al suo interno. In pratica, un ossimoro.
Proprio questo concetto viene ripreso da Rian Johnson, soggettista e regista di Glass Onion – Knives Out, attualmente già disponibile su Netflix dal 23 dicembre, che se ne serve in un modo che non riveliamo per non anticipare nulla a chi non abbia ancora visto il film. Perfettamente conscio della sua ispirazione primaria, Johnson rende omaggio al brano beatlesiano all’interno dei titoli di coda, che scorrono proprio sulla canzone scritta da Lennon.