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Il mito degli anni '80 raccontato da chi li ha vissuti

"Cosa resterà di questi anni Ottanta?" cantava Raf in una canzone sanremese del 1989. Dalla decade dell’edonismo reaganiano e della Perestrojka, delle spalline abnormi e del made in Italy, della televisione di Quelli della notte e Drive In sono già passati quasi 40 anni. Un soffio per chi ha già i capelli bianchi, un’eternità per i più giovani. Gruppi ultra cool come i Duran Duran, gli U2, Gli Spandau Ballet i Depeche Mode,gli Eurythmics sono oggi considerati dei classici.  Michael Jackson raggiunse l’apice del successo nel 1982 con Thriller, ritenuto con i suoi 66 milioni di copie, l’album più venduto al mondo nella storia del pop. Le sonorità elettroniche e l’eclettismo che caratterizzarono quegli anni lasciarono senza dubbio un segno indelebile in tutti quelli che vennero dopo.

Drive In Canale 5

Gli anni Ottanta videro l’inizio dell’era dei video musicali e di conseguenza la nascita delle tv ad essi dedicate. Se oggi per trovare una clip basta cercarla sul web, in un’epoca dove era la tv a farla da padrona, pioniera assoluta fu Videomusic, emittente toscana nata nel 1984.  Seguita a distanza di molti anni da All Music, Mtv e Deejay tv. Per i ragazzi di allora fu una grande novità. Un canale tematico con programmi musicali 24 ore su 24 non si era mai visto prima. Era iniziata l’era dei VJ, i presentatori di video destinati a diventare vere e proprie star del teleschermo.

Ma la vera rivoluzione degli anni Ottanta é stata l’invenzione della musica portatile. Dagli impianti HI-FI di casa le canzoni preferite si potevano sentire anche in strada con un'ottima qualità di ascolto. Con il potente Ghetto Blaster, un sistema compatto con casse, amplificatore, sintonizzatore radio, lettore/registratore per una o due cassette, la musica assordante diventò la valvola di sfogo di un’intera generazione, dando il via all’era hip hop. Il rovescio della medaglia si chiamava Walkman, a cui fece seguito il Diskman (1984) che al posto della musicassetta utilizzava il neonato cd. Un lettore collegato a una cuffia, da portare alla cintura o a tracolla e il gioco era fatto. Non si disturbava nessuno. Ognuno poteva anche registrare la propria musicassetta con i suoi brani preferiti, l’antenata della playlist di oggi. Come non ricordare la scena clou di un tormentone degli anni '80, Il tempo delle mele, dove l’esordiente Sophie Marceau, protagonista del film, indossava le cuffie del walkman per ballare un lento col suo fidanzatino, circondata da ragazzini che ballavano musica dance a tutto volume.

Ma come viveva la musica un ragazzo che iniziava a suonare e cantare nelle band degli anni Ottanta? C’erano le scuole? Le sale prova? E soprattutto come si faceva senza internet e Youtube? O Spotify e ITunes. Molti mezzi che oggi diamo per scontati 40 anni fa non erano neanche lontanamente presenti nella fantasia di un ragazzo che si avvicinava al mondo musicale. Eppure si aveva voglia di suonare e gli spazi dove potersi esprimere al meglio non mancavano di certo.
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Dove provare?

Premesso che le scuole di musica moderna si potevano contare, solo nelle grandi città, sulle dita di una mano, per i teenager che iniziavano a strimpellare la parola d’ordine era “garage”. Al contrario di oggi dove per pochi euro si possono avere a disposizione spazi insonorizzati e dotati dell’attrezzatura necessaria di qualità, negli anni Ottanta, per far musica era necessario disporre di una tana tutta per sé, da dividere al massimo con un’altra band.

Solitamente la si personalizzava con i poster dei propri idoli. Immancabili Bob Marley e per i chitarristi veri Jimi Hendrix e Carlos Santana. Spesso era frequentata da amici e fans, quasi sempre di sesso femminile, che si sentivano onorati di partecipare alle sessioni di prova del gruppo.

Possederne una di proprietà costituiva un valore aggiunto alle capacità musicali dell’aspirante pop star, come racconta Faso di Elio e le storie tese, che sbaragliò i rivali perchè aveva un asso nella manica: una saletta da condividere con il gruppo.

La “sala prove” era situata di solito in luoghi angusti e fatiscenti come box, cantine o casolari di campagna, tutti umidissimi. L’insonorizzazione veniva affidata ai cartoni delle uova o ai fogli di polistirolo, sostituiti in seguito dalla gommapiuma fonoassorbente. D’obbligo il congelamento oppure le stufe elettriche che riscaldavano, anzi cuocevano solo chi vi era posizionato davanti. Nella mia carriera di cantante ho frequentato nell’ordine: box in città, box in periferia (più di uno), magazzino in campagna con giardino di aranci fruibili tra un brano e l’altro, magazzino in campagna persa nel nulla, retrobottega di negozio di mobili (10 mq) denominato “il covo”, dove si suonava jazz e dove iniziò la sua carriera il grande Paolo Fresu.
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Partiture e testi

Prima del web la musica si trovava nei libri musicali o si registrava con la mitica musicassetta, di durata variabile dai 45 ai 180 minuti. I dischi erano ancora in vinile anche se nel 1982 venne pubblicato il primo cd, destinato a soppiantare l’LP in un paio di anni. Duplicare cassette era una prassi illegale ma frequentissima. Si chiedeva il disco ad un amico e si duplicava quasi industrialmente con la doppia piastra dell’impianto HI-FI. Quando non si poteva comprare il disco si aspettava che le radio trasmettessero il brano di cui si aveva bisogno e lo si registrava in diretta. L’unico inconveniente era che in coda al pezzo veniva registrata anche la voce del dj che lo presentava. Le cassette erano vergini e si potevano registrare più volte cancellando via via i precedenti contenuti. Spesso la scelta della sovraincisione era molto dolorosa. Le custodie in plastica trasparente erano tristi e fredde perciò i più creativi realizzavano dei collage con le fotocopie delle copertine originali.

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I modi per preparare il repertorio erano sicuramente ingegnosi. Oggi accordi e testi sono disponibili su web con un click mentre quarant’anni fa i mezzi erano ben diversi.  Per i testi: carta, penna e dito premuto su Play/avanti /indietro. Ovviamente il nastro era sottoposto a un grande stress ma il risultato era assicurato: ascolto, stoppo, scrivo, riascolto, correggo. In un quarto d’ora il testo era pronto. Con le canzoni in inglese il lavoro era un po’ più complicato, specialmente per chi l’inglese non lo conosceva. Certo esistevano i testi scritti sulle copertine dei dischi e quelli pubblicati su TV Sorrisi e Canzoni ma non erano mica tutti. Anzi erano una minima percentuale. Nei negozi si trovavano le antologie ma spendere uno sproposito per una canzone non era economicamente sostenibile per un ragazzino. Anche i musicisti si ingegnavano. Le fotocopie non erano così comuni e spesso si preferiva memorizzare gli accordi dei brani sfogliando i libri sugli scaffali dei negozi. Andare a orecchio col solito metodo era comunque sempre la soluzione più utilizzata.

Le basi musicali e il karaoke

Prima degli anni Novanta cantare pop e rock sulle basi musicali era praticamente impossibile. Non esistevano proprio. Il karaoke venne inventato in Giappone negli anni Ottanta ma cominciò a prendere piede dieci anni più tardi quando molte case di produzione si misero a sfornare basi musicali su cd. Prima se si voleva cantare si doveva per forza formare una band. L’alternativa era accompagnarsi da soli alla chitarra o al pianoforte. E non era sicuramente un male. Con internet e le applicazioni è diventato tutto più semplice. I supporti sono spesso di qualità discutibile ma per chiunque c’è la possibilità di cantare ciò che si vuole in qualsiasi tonalità grazie a programmi versatili e facili da usare.

La musica si evolve, gli stili cambiano. Chi avrebbe mai immaginato allora che saremmo arrivati oggi al trap, all’autotune e alla musica prodotta in casa? E wi-fi, internet ovunque, velocità. Un comune denominatore resta indiscusso in ogni epoca. Ascoltare, ballare, cantare, suonare sono un vero toccasana. Come disse Pete Townshend, storico leader degli Who «Il rock—e ogni genere musicale aggiungo io— non eliminerà i tuoi problemi ma ti permetterà di ballarci sopra».

 

Autore: Cristina Alia

Cristina Alia insegnante di canto della Scuola di Musica Cluster dall’anno della fondazione (1999). Giornalista professionista dal 1996, è stata conduttrice televisiva, ha scritto articoli e recensioni, ha curato rubriche e pagine dedicate al mondo dello spettacolo e della cultura per varie riviste (Panorama, Carnet, Come, Diario, Confidenze).

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