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Il suono segreto dei Tame Impala

Se si digita su Google “rullante Tame Impala” compaiono numerosi tutorial che spiegano per filo per segno come ricreare quel suono, ma non bisogna nemmeno arrivare alla fine del video per capire che non c’è alcuna speranza di ottenere, anche solo per sbaglio, quel sound.

La tame impala mania è cresciuta a tal punto che molti appassionati amano attribuire  il termine “tame impaloso” ad ogni suono che si avvicini anche solo lontanamente a quel tipo di immaginario sonoro.

Per capire quanta leggenda ci sia dietro alla creazione del sound dei Tame Impala, addentriamoci nei dettagli della produzione dei primi due dischi, Innerspeaker (2010) e Lonerism (2012).

«Su questo pianeta, ci sono dei luoghi in cui in determinati momenti, si crea un campo d’energia. In quell’esatto momento e per un certo numero di anni, quel posto era Muscle Shoals» sentenziava Jimmy Cliff in un documentario sul Fame Studio. Effettivamente, tra gli anni ’60 e ’70, in quel paese dell’Alabama, furono incisi alcuni tra i più importanti dischi dell’industria discografica americana.

Oggi Jimmy Cliff direbbe sicuramente lo stesso di Perth, cittadina del sud dell’Australia, sostenendo che quel campo di energia che rende tutto magico si è spostato lì. The Dee Dee Dums, Pond, Mink Mussel Creek, GUM, Allbrook/Avery, Rabbit Island, Gunns, Electric Toad, The Silents, Water Temple, Peter Bibby: sono tutte band nate a Perth, e sono sicuramente tra le più interessanti formazioni del panorama indie internazionale.

Ho capito che cosa stesse davvero accadendo in quella scena quando, ad un concerto che organizzammo in B42 a Milano, conobbi Bahasa Malay. Lei stava girando l’Europa con la sua musica e il suo show visivo da pelle d’oca, ma disse di vivere a Perth: «La particolarità della scena musicale di Perth è che nessuno si preoccupa di quello che interessa al resto del mondo.»

«I Tame Impala sono solo un frammento di tutta questa quantità enorme di rumore che facciamo tra amici» afferma Kevin Parker, mente solista e polistrumentista dietro a questo progetto innovativo. Egli ha attinto dai suoni psichedelici classici dei Cream e dei Beatles dell’era del White Album per fonderli, nella sua mente, con elementi esclusivamente moderni. Il risultato è un suono dai colori anni ’70 con una ciclicità paragonabile ad un mantra, il cui unico obiettivo, a detta di Kevin, è far muovere le persone.

Se anche le parole sulle coincidenze astrali di Jimmy Cliff toccano il mio lato più sentimentale, così come riconosco in Kevin Parker un’assoluta genialità compositiva, riesco ad accettare un po'  meno la storia secondo cui tutto il suo suono sia nato in maniera casuale, talvolta frutto di clamorosi errori, nella totale solitudine della sua cameretta. In un’intervista a Tape Op. di giugno 2013, Kevin racconta di quando, da ragazzino, era solito registrare il fratello batterista con il suo “mangiacassette”  e sovraincidere sulla ritmica  la sua tastiera con un altro registratore, generando una quantità spropositata di rumore di fondo. Con la stessa naturalezza ci parla di come ha registrato alcune voci di Lonerism cablando un microfono nell’input sbilanciato del suo laptop grazie ad una serie di adattatori.

Per capire quanta leggenda ci sia dietro alla creazione del sound dei Tame Impala, addentriamoci nei dettagli della produzione dei primi due dischi, Innerspeaker (2010) e Lonerism (2012).

Sebbene i due dischi abbiano due anni di differenza, si può tranquillamente affermare che furono prodotti pressapoco nello stesso periodo con uguali modalità realizzative. Infatti, ultimati i mix di Innerspeaker, Kevin Parker era già al lavoro sui nuovi brani di Lonerism, convinto che li avrebbe usati per un suo side project oppure che li avrebbe venduti in qualità di autore. La differenza sostanziale sta nel fatto che a quel punto Kevin si era stufato di sperimentare con la chitarra e aveva scoperto lo sconfinato mondo dei syntetizzatori suonando per la prima volta un Sequential Circuits Pro-One degli anni ’80.

Fu l’etichetta Modular Recording a spingere Kevin a registrare Innerspeaker fuori dalle mura di casa propria. Insieme al chitarrista Dominic Simper e a Tim Holmes dei Death In Vegas, giovane con la passione per l’audio engineering, affittó una casa sulla spiaggia di Injidup a due ore di macchina da Perth dove si trasferirono per sei settimane. La casa,  oggi in vendita per la modica cifra di sei milioni di dollari, aveva una veranda affacciata sulla spiaggia che fu subito adibita a control room sistemandoci le casse monitor Pioneer cs-703 insieme alle Yamaha Hs8, il registratore digitale ad otto tracce della Boss Br-864 e qualche macchina come un preamplificatore Neve 1073 ed un compressore Empirical Labs Distressor. Tutta la zona soggiorno fu invasa di strumenti e trasformata in live room.

È qui che, mentre Tim Holmes era intento a pescare, nacque il leggendario suono di batteria dei Tame Impala.

Se si digita su Google “rullante Tame Impala” compaiono numerosi tutorial che spiegano per filo per segno come ricreare quel suono usando anche solo Fruity Loops. Non bisogna nemmeno arrivare alla fine del video per capire che non c’è alcuna speranza di ottenere, anche solo per sbaglio, quel sound. La tame impala mania è cresciuta a tal punto che molti appassionati, tra cui il sottoscritto, amano attribuire  il termine “tame impaloso” ad ogni suono che si avvicini anche solo lontanamente a quel tipo di immaginario sonoro.

In svariate interviste, supportate visivamente dal making of di Innerspeaker, Kevin afferma di registrare le batterie (generalmente una Ludwig Sparkle Blue del ’66 con rullante Supraphonic 14x6) usando solo tre microfoni. Non si parla di tecniche particolari tipo la Glyn Johns, ma di un microfono valvolare Rode K2 usato come mono overhead, di un SM57 per la cassa ed un altro 57 posizionato in maniera top secret per il rullante. Il microfono spot del rullante viene compresso violentemente usando uno Shure SE30 e saturato con un vecchio Shure Level-Loc progettato per il broadcast. Il rullante riacquista aria con l’aggiunta del mono overehead mentre la definizione della cassa viene data dal SM57 posto sulla buca, che rende le basse rotonde ma non enfatizza l’attacco. Il tutto sarebbe inascoltabile, sempre a detta di Kevin, se non si passasse il kit in un compressore Dbx 165 settato sapientemente con un attacco lento e ratio molto alta in modo da creare un effetto pumping tipico delle batterie hip-hop senza però slavare troppo i piatti.

tame impala 1

La sensazione è che ci sia qualcos'altro di top secret oltre al posizionamento del microfono spot del rullante. La prima conferma viene dal blog Audio Engineering ospitato sulla piattaforma Reddit, in cui un musicista che ha suonato in vari side project con alcuni membri dei Tame Impala afferma che in tutte le registrazioni fu aggiunto sul rullante un AKG D190 messo perpendicolare al bordo, ad una distanza di circa 10cm.

Inoltre alcune batterie furono sovraincise in un paio di studi Australiani su richiesta del mix engineer Dave Fridmann, il cui ruolo nella catena produttiva dei dischi verrà chiarito più avanti. Di sicuro i Tame Impala passarono per il “Blackbird Sound Studio”. Lo conferma su Gearslutz il proprietario, Dave Parking, raccontando di avere preparato la sua DW degli anni ’70 microfonata con un Peluso R14 come overhead, un Sennheiser 421 perpendicolare al bordo del rullate e un AKG D12 sulla buca della cassa. «Kevin volle bypassare il banco ed entrare direttamente nel suo registratore a 16 piste buttato sul pavimento. Sembrava felice di sedere per terra».

È sempre Parking a rivelare che fino a quel momento nella catena di processing di Kevin non era stato ancora inserito il compressore Dbx 165, al quale si deve gran parte della magia del suond di batteria. Fu aggiunto solo in fase di mix da Dave Fridmann, il quale gli precisò via chat di unsare il 165a e sfruttare il suo peak limiter interno per conferire al kit un suono crunchy.

Un altro tratto distintivo dei Tame Impala sono le chitarre plasticose e fuzzose. Questo suono ha origine da un cattivo rapporto tra Kevin e gli amplificatori per chitarra in genere. «Mi sono un po' seccato di perdere del tempo a settare un amplificatore» dice in un’intervista al magazine Tape Op. «solo passando attraverso una D.I. (una Seymour Duncan) riesco ad ottenere quella presenza sulle medio alte che non mi da un amplificatore». Nonostante ciò, alcuni overdub sono stati fatti con amplificatori valvolari come l’AC 30. La distorsione digitale tanto cara a Kevin, è ottenuta in molte parti di chitarra entrando direttamente con lo strumento nel suo registratore Boss Br-864, il cui limiter interno viene fatto distorcere facilmente. Ogni singola parte di chitarra viene registrata passando attraverso l’infinita catena di pedali ed effetti ossessivamente progettata. Per i più appassionati all’argomento, in questo sito è possibile consultare un catalogo di tutti gli effetti da lui usati: Catalogo Effetti.

Ci sono dei brani, come ad esempio Feels Like We Only Go Backwards, in cui la performance vocale è esattamente la prima che è stata incisa, altri in cui ogni singola parte è stata rifatta centinaia di volte. Kevin registra ovunque gli venga l’ispirazione per farlo. Famose le take di voce realizzate in aereo durante i numerosi viaggi a Parigi per passare del tempo con la fidanzata Melody Prochet dei Melody’s Echo Chamber. Il suo metodo è quello di doppiare sempre la voce principale e poi quantizzarla perfettamente con un plugin chiamato Vocalign in modo da creare un effetto doubler naturale. Melodicamente, e spazialmente, non facendo caso alle strutture pazze dei brani, la voce di Kevin ricorda quella di Lennon durante il periodo Revolver, solo con l’aggiunta di una quantità spropositata di effetti dati da svariati pedalini, uno su tutti il Boss VE-20 Vocal Performer, e plugin.

Per Kevin Parker gli effetti sono fondamentali. Questi vengono inglobati nei brani fin dalle prime fasi compositive divenendo delle parti di arrangiamento in tutto e per tutto. In Mind Mischief compare, a metà del brano, un effetto flanger che introduce una modulazione sull’accordo e un successivo cambio di melodia e di parti strumentali. Una volta ancora Kevin si spinge fino all’eccesso mettendo un flanger su tutto il brano Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything That We Could Control. Il passaggio, da  Lonerism in avanti, al sofware Ableton Live, affina nettamente questo approccio compositivo conferendo a Kevin una tavola di lavoro orizzontale perfetta per enfatizzare l’utilizzo di effetti e di loop ipnotici. La vera rivoluzione sta nell’attingere da sonorità psichedeliche anni ’60 e ’70 ed inserirle nel contesto sintetico di oggi, trattandole con un approccio da producer di musica elettronica.

Tutto ciò è però filtrato dal personale immaginario di Kevin, che cattura ogni cosa che lo ispira con il suo dittafono.

Ciondolava affacciato alla finestra del suo albergo quando, improvvisamente, fu colpito dal particolare riverbero generato dalla strada di fronte, sollecitata da un rumore calcato di passi. Ciò che registrò quel pomeriggio costituisce oggi l’intro di Be Above It. Il brano di chiusura di Lonerism, Sun’s Coming Up, ha una lunga registrazione ambientale fatta durante il tragitto tra il parcheggio e una spiaggia locale di Perth, che termina con delle folate di vento e le parole di una ragazza. «Quando ho il registratore in mano, ho la sensazione di immortalare il mio essere solo, anche se in fondo non lo sono» confessa Kevin.

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Ultimate le registrazioni, le sonorità del disco non erano ben definite. Fu ancora una volta la Modular Recordings a spingere Kevin ad affidare il lavoro di missaggio ad un tecnico esperto, avendo ancora nelle orecchie il sound dell’EP d’esordio nel 2008, Tame Impala. Quel disco, gelosamente missato da Kevin, suonava in maniera estremamente immatura. La batteria lasciava intrasentire un accenno del sound che avrebbe avuto nei due dischi successivi ma tutto il resto era deludentemente poco tame impaloso. Gli ambienti erano molto approssimativi, le chitarre poco interessanti, ma specialmente l’approccio era esclusivamente live, privo di hook o di effetti che sarebbero diventati il marchio di fabbrica dei Tame Impala. È ascoltando questo primo disco che si comprende il valore che Dave Fridman aggiunse missando Innerspeaker e Lonerism.

Già produttore dei Flaming Lips ed MGMT, Fridmann non si può certo definire un mixer engineer neutrale, bensì uno che nei suoi venticinque anni di carriera ha sviluppato un sound proprio. Abituato a processare pesantemente i suoni originari, talvolta snaturandoli, tende a costruire i suoi dischi sommando uno sopra l’altro tanti layer sonori differenti. Mostra particolare maestria nel farlo in una produzione dei Flaming Lips chiamata Zaireeka, che viene suddivisa in 4 dischi con diversi piani sonori dedicati che dovrebbero essere riprodotti contemporaneamente. I suoi mix sono sempre in movimento grazie a numerose automazioni sui pan o effetti ping pong di tipo elettronico o acustico. Ma il suo tratto distintivo è la pasta sonora che ottiene attraverso diversi passaggi; il più importante, è l’utilizzo del registratore a nastro Otari a 24 piste. Passandovi attraverso gli stems, la parte medio alta dello spettro sonoro risulta sempre molto crispy contrastando con delle basse frequenze più morbide. Nel caso dei Tame Impala il lavoro sulle basse fu semplificato dall’utilizzo di un Hofner Ignition tipico del sound anni ’60.

È chiaro che un mix creativo di tal genere non può essere astratto dal processo realizzativo dei dischi dei Tame Impala come invece Parker tenderebbe a fare, data la non casuale scarsità di informazioni rilasciate sul lavoro fatto da Dave Fridmann. D’altronde Kevin ha sempre dato prova di una certa ossessività nel controllo sui suoi brani. Ai concerti accade che il mix della batteria venga fatto sul palco con l’utilizzo di un scheda audio Motu UltraLite onde evitare, in caso di upload su youtube della performance, che il suono registrato venga mixato in maniera diversa dalla sua volontà.

Fatte queste riflessioni, sarebbe facile sospettare che la storia del suond dei Tame Impala, costruito prima nella casa al mare durante le vacanze estive (Innerspeaker) poi nella cameretta di casa (Lonerism), sia un po una forzatura. Quando si parla di Tame Impala tutto deve essere anacronistico, estroso e spontaneo. In fondo poco importa quale sia la verità dietro alla nascita di questo sound futuristico, ciò che conta è il messaggio che si vuol trasmettere. Quel genio di Kevin Parker fa capire che possiamo ancora oggi ritrovarci nella nostra cameretta o nella casa delle vacanze in compagnia di amici o solo di noi stessi e progettare di calcare il palco di Glastonbury scrivendo canzoni. La storia della nascita dei dischi dei Tame Impala è un invito a non smettere di sognare.

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