Il Volo e il ritorno del “bel canto” all'italiana
Facciamo un passo indietro. I tre si conoscono nel 2009 partecipando al talent show per giovanissimi Ti lascio una canzone, condotto da Antonella Clerici. Presentatisi come solisti, vengono messi insieme per volontà del regista Roberto Cenci per creare una versione giovanile dei "tre tenori" Pavarotti, Domingo e Carreras. "Tenorini", vengono infatti soprannominati (anche se non tutti lo sono).
Da lì l'interessamento dei discografici nostrani – Michele Torpedine e Tony Renis – e internazionali (Jimmy Iovine della Universal e Ron Fair della Geffen, per tramite di Renis). I ragazzi piacciono e vengono messi sotto contratto dalla Geffen: due milioni di dollari di finanziamento per il disco d'esordio da lanciare sul mercato internazionale. Il disco si intitolerà metaforicamente Il Volo e da lì prenderanno spunto per cambiare il nome del gruppo (prima di allora si esibivano con i nomi The Tryo e Il Trio).
Il resto è un seguito vertiginoso di successi: disco di platino in Italia, Messico, Venezuela; ingresso nella top 10 degli album più venduti in Francia, Olanda, Belgio, Austria, Stati Uniti; disco d'oro in Colombia, Portorico, Nuova Zelanda, Singapore; fino alla vittoria al Festival di Sanremo 2015, quando Il Volo ottiene il 39 per cento dei voti, e la salita sul podio dell'Eurovision Song Contest, mancando di poco il primo posto.
Come si spiega un successo simile? Pura operazione commerciale? Non esattamente. Da decenni la discografia italiana vive un rapporto ambivalente con il retaggio musicale dei "tempi d'oro" (approssimativamente dagli anni Cinquanta agli anni Settanta) e le nuove scommesse del presente. Da quando la musica anglofona – quindi sostanzialmente pop rock – è diventata lo standard di riferimento per tutti, abbiamo perso troppo di vista il grande patrimonio "melodico" della tradizione italiana.
È una tradizione che ci viene invidiata da mezzo mondo. Gli artisti italiani non hanno molte chances di sfondare in mercati già saturi come quelli inglese e americano, ma ci sono molti mercati "minori" in cui la scuderia italiana può ambire a un ruolo di leadership: est Europa, sud America, estremo Oriente. In Perù Laura Pausini è famosa quanto Madonna, a Mosca non c'è tassista che non conosca i successi di Adriano Celentano. Per non parlare dei giovani virtuosi giapponesi e coreani che vengono nel Bel Paese per studiare canto lirico.
Il successo del Volo nasce proprio in questo modo: per colmare un "gap" nel mercato discografico internazionale a cui incredibilmente nessuno aveva pensato ma di cui c'era grandissima domanda. Gli ingredienti sono molto semplici: i tre ragazzi sono giovani (hanno in media 21 anni), belli ma non impossibili, alla moda ma non in maniera ostentata (i baffetti, gli occhialoni), soprattutto praticano un genere musicale – un pop di impostazione lirico-operistica – che può essere piazzato con estrema facilità da Tokyo a Rio de Janeiro.
Con la loro giovane età e il loro indubbio talento danno nuova linfa a una tradizione musicale – la nostra – radicalmente alternativa al pop rock mainstream e per questo ingiustamente trascurata negli ultimi anni. Ma se la cucina e la moda parlano italiano, perché non può tornare a farlo anche la musica?