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L'acquisto del vostro smartphone ha finanziato la Siae

Il ragionamento è legittimo: poiché il consumatore può usare quei supporti per creare una copia privata di un'opera protetta da copyright, purché già in suo possesso, la collecting society (in Italia la Siae) si riserva un'aliquota del prezzo del prodotto a mo' di indennizzo da ripartire fra gli autori. Equo compenso per copia privata, appunto.

In Italia la copia privata di opere protette da copyright è consentita dalla legge sul diritto d'autore (n. 633 del 1941), mentre altre giurisdizioni la vietano: ancora oggi un giovane inglese che masterizza la sua collezione di dischi dei Rolling Stones commette reato.

Un caso diverso è quello del download illegale di opere protette: allora si tratta di vera e propria violazione del copyright. L'equo compenso è pensato anche per far fronte a questa realtà bilanciando le perdite economiche causate dalla pirateria, anche se nell'epoca dello streaming legale e gratuito è un fenomeno in rallentamento.

Per legge le tariffe dell'equo compenso devono essere riviste ogni tre anni e di recente il ministro della cultura Dario Franceschini ha provveduto a firmare il decreto ministeriale che le aggiorna con validità fino al 2017 (una misura che, per la verità, aspettava di essere emanata dal 2012). Le tariffe sono state ritoccate al rialzo: per esempio da oggi per l'acquisto di un qualsiasi smartphone o tablet da 16 GB, 4 euro andranno alla Siae (contro, rispettivamente, gli 0,90 e 1,90 euro del 2009).

Un simile aumento appare ingiustificato se confrontato con il reale utilizzo che gli italiani fanno degli strumenti di riproduzione digitale. Infatti, secondo una ricerca commissionata dall'ex ministro Massimo Bray, non più del 5% dei consumatori utilizzano smartphone e tablet per la creazione di copie private di opere protette. Normalmente per questo scopo viene utilizzato il personal computer (nel 70% dei casi) e comunque si tratta di un fenomeno minoritario: solamente il 13,5% degli italiani ha l'abitudine di fare una copia del materiale acquisito, preferendo lo streaming al download.

Insomma, più che un ritardo culturale italiano l'operazione ha l'aspetto di una strategia della Siae per limitare le proprie perdite. Nel 2013 la società ha chiuso con un bilancio in rosso di 23,4 milioni di euro, parzialmente tamponato dai 4,3 milioni che ha trattenuto dai 61 milioni di euro derivanti dall'equo compenso. Purtroppo in quest'occasione la Siae e il governo non hanno fatto sfoggio di trasparenza.