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L’album della settimana: Nevermind, il capolavoro dei Nirvana

Può trattarsi di opere estremamente recenti oppure molto, molto vecchie (al punto da poter essere definite “antiche”, talvolta): per noi non fa alcuna differenza, ciò a cui teniamo veramente è dare sempre risalto alla buona musica.

«With the lights out, it's less dangerous
Here we are now, entertain us
I feel stupid and contagious
Here we are now, entertain us
A mulatto, an albino, a mosquito, my libido
Yeah, hey»

Un urlo ruvido, dei capelli biondi che schizzano ovunque mentre una figura pallida canta il suo grido di smarrimento e si piega su una chitarra, suonandola con tutta la forza che ha, esattamente in mezzo a una cornice composta di ragazzi, ragazze e cheerleader che si muovono a tempo come possono all’interno della palestra di una qualunque scuola. Sono le immagini del videoclip ufficiale Smells Like Teen Spirit durante il suo ritornelllo: più che un singolo, una canzone che ha fatto epoca e, ancora oggi, un’istantanea generazionale a cui la contemporaneità guarda (anche) come un’icona pop, oltre che a un’opera pienamente riuscita.

Era il 1991, quindi trent’anni fa: da allora, il mondo è cambiato parecchio e c’è chi sostiene che un frammento di quel cambiamento sia dipeso anche da Nevermind, uno dei dischi più significativi di tutti gli anni 90. Un album che, forse, rappresenta anche l’ultimo successo mondiale di massa che la musica rock ha fatto registrare e che restituisce benissimo il “colore” che proprio il rock aveva in quel periodo: chitarre distorte dal suono potente, batteria incalzante, il basso che tiene insieme tutto con la sua ritmica ossessiva e la voce roca e arrabbiata di Kurt Cobain, che sfoga nel suo canto sofferenza e frustrazione.

Gruppo nato nei dintorni di Seattle nel 1987 e cresciuto all’interno di quel movimento grunge che ha dato i natali a tante altre formazioni importanti del panorama del rock alternativo, i Nirvana raggiungono un successo planetario proprio con Nevermind, che diventa un successo più o meno immediato di critica e pubblico. Forse oggi è difficile immaginarlo, visti i meccanismi dell’attualità in cui tutto si consuma velocemente e i successi si bruciano in pochissimo tempo, ma Nevermind è stato un patrimonio comune per un’intera generazione. Dave Grohl, ex batterista dei Nirvana e attualmente frontman dei Foo Fighters, dice di essere orgoglioso soprattutto della «cruda semplicità» del disco, della sua immediatezza – che, ai tempi, Kurt Cobain attribuiva nelle interviste soprattutto al suo tentativo di “inscatolare” all’interno di una confezione pop la musica aggressiva e ruvida che creava con la sua chitarra. Secondo Grohl: «La nostra intenzione era creare qualcosa che fosse così lineare da risultare quasi bambinesco, ritmi semplici, giri facili; lo stile di scrittura più diretto possibile. Si tratta di scheletri musicali, c’è un po’ di semplice batteria e io credo che il fatto che sia un disco così spoglio e che sia così facile da seguire agitando la testa a tempo siano il perché la gente lo ascolta ancora oggi».

Il disco è composto da dodici tracce (più una nascosta di nome Endless, Nameless che in realtà avrebbe dovuto essere una canzone a tutti gli effetti) e ha un sound molto omogeneo, compatto: l’ascolto scorre linearmente dall’inizio alla fine. Questo però non significa che ogni brano sia uguale: ci sono cavalcate più potenti e arrabbiate, come Smells Like Teen Spirit, ma anche momenti di grande atmosfera e intimità come Something In The Way, dove voce e chitarra dialogano senza urla né distorsore. Ci sono canzoni accessibili dall’anima più pop come Come As You Are o le chitarre furiose, quasi punk di Territorial Pissing e Stay Away. In generale, lo stile di composizione dei Nirvana spesso sfrutta al massimo l’alternanza di pieni e vuoti, cercando di non saturare tutti gli spazi con la chitarra ed esponendo spesso la struttura base dei pezzi, fatta di basso e batteria: non è raro che in una stessa canzone si succedano strofe più calme e tranquille con ritornelli potenti, da ascoltare al massimo volume possibile. Allo stesso modo, Cobain modula la voce in base alle esigenze del pezzo: il canto diventa più rauco e gridato se la canzone è più aggressiva mentre invece è quasi un sussurro se l’unico accompagnamento è quello della chitarra classica.

Sarebbe però un errore considerare solo i tre membri dei Nirvana come autori del disco. Al risultato finale contribuirono enormemente anche Andy Wallace, chiamato a mixare l’album, e soprattutto Butch Vig, in qualità di produttore, anche lui toccato dalle Muse in maniera forse irripetibile e uno dei fautori dell’enorme successo di Nevermind. Per completezza, va precisato che i Nirvana ammisero di non essere soddisfatti del risultato finale nonostante il pubblico e la critica lo abbiano apprezzato parecchio. Ne salta comunque fuori che Nevermind è la testimonianza di uno di quei particolari momenti di grazia suprema in cui diversi artisti riescono a estrarre faticosamente il loro meglio dal loro talento dopo un lungo lavoro minerario all’interno delle caverne della loro creatività, diventando il classico capolavoro destinato a sopravvivere allo scorrere del tempo.

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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