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La canzone della settimana: Black Dog, un inno hard rock in stile Led Zeppelin

La canzone (o l’album, dipende dall’umore del momento) della settimana è una rubrica fissa in cui proponiamo un disco oppure un singolo brano in particolare, approfondendo un minimo la sua storia, la sua importanza e – perché no, siamo qui apposta – la sua bellezza. Può trattarsi di opere estremamente recenti oppure molto, molto vecchie (al punto da poter essere definite “antiche”, talvolta): per noi non fa alcuna differenza, ciò a cui teniamo veramente è dare sempre risalto alla buona musica.


 «Cose come Black Dog sono sfacciate, quel genere di cose in stile dai-facciamolo-nel-bagno ma che raggiungono il loro obiettivo come tutte le altre»: così Robert Plant, cantante dei Led Zeppelin, riassume lo spirito alla base di Black Dog, uno dei brani più famosi e apprezzati del gruppo. Una spiegazione in puro stile Zeppelin per uno degli inni degli Zeppelin: decisamente molto, molto appropriato.

Del resto, la canzone è potente, sfrontata, contagiosa: la struttura a chiamata e risposta del pezzo è probabilmente “l’ingrediente segreto” del suo fascino senza tempo. Al cantato aggressivo di Plant rispondono delle frasi musicali poderose del resto del gruppo, in un’alternanza che fa precipitare l’ascoltatore “ben dentro” il brano fino al ritornello – per quanto sia probabilmente improprio chiamarlo così – in cui cantato e strumenti vanno finalmente all’unisono. La struttura call and response, così come la melodia vocale alla base dell’interpretazione di Plant e persino il riff principale sono tutte suggestioni prese dalla musica black americana: Black Dog rivela candidamente le proprie radici blues. A proposito del riff, tra l’altro, il giornalista e regista Cameron Crowe ha ricostruito che la sua composizione nasce da un’intuizione originale di John Paul Jones, il bassista. Dave Lewis annota che Jones volesse addirittura registrare il pezzo secondo un tempo di 3/16 salvo poi tornare a più miti consigli dopo aver capito che proporlo dal vivo sarebbe stato improponibile, in quella versione. Ciò che sicuramente è rimasto fin dalla prima bozza è il riff, il quale riesce a fondere al meglio potenza e sinuosità.

La potenza diventa poi magniloquenza grazie all’estro di Jimmy Page, che rielabora il suono della sua chitarra fino a renderlo “pesante” com’è nella versione finale del pezzo. Ai tempi, Page sperimentava continuamente con la registrazione e la post-produzione dei suoni, le sue parti di Black Dog non fanno eccezione. Il chitarrista ha l’idea di far passare il suono della sua Les Paul attraverso una Direct Injection Box, un apparecchio elettronico che filtra le linee dei segnali audio, e di incidere il risultato usando un canale mixer per microfono, giocando con il volume dedicato per aumentare a piacimento la distorsione. In tutto questo, poi, non si contano le varie sovraincisioni, che danno inevitabilmente “corpo” al suo sound. Quel che conta è che il chitarrista ottiene un suono unico, corposo e robusto, perfetto per il pezzo e per l’identità hard che gli Zeppelin stanno coltivando in quel momento.

E il cane nero del titolo cosa c’entra? Si è speculato tantissimo su questo Black Dog. E, trattandosi degli Zeppelin, molto è stato detto o scritto cercando connessioni strane con l’occulto o l’esoterismo, dato l’immaginario che la band evoca da sempre, a livello di narrazione popolare. In realtà, questo è un classico caso in cui i voli pindarici della fantasia sono infinitamente più interessanti della realtà: la band non aveva la minima intenzione di far pensare a segugi infernali, cerberi demoniaci o chissà che altre diavolerie. Il gruppo ha semplicemente intitolato la canzone prendendo spunto dai latrati di un grosso labrador nero che girava indisturbato nelle vicinanze durante le sessioni di incisione di Led Zeppelin II, il disco che include Black Dog. Il gruppo si era isolato nel cottage di Headley Grange per lavorare senza interferenze esterne, all’interno di una zona rurale all’estremo sud dell’Inghilterra, in pienissima campagna. Qui capitava che qualche animale della zona si avventurasse vicino all’edificio e, tra questi, un normalissimo cane nero.

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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