La canzone della settimana: Don’t Speak, la più grande hit dei No Doubt
La canzone (o l’album, dipende dall’umore del momento) della settimana è una rubrica fissa in cui proponiamo un disco oppure un singolo brano in particolare, approfondendo un minimo la sua storia, la sua importanza e – perché no, siamo qui apposta – la sua bellezza. Può trattarsi di opere estremamente recenti oppure molto, molto vecchie (al punto da poter essere definite “antiche”, talvolta): per noi non fa alcuna differenza, ciò a cui teniamo veramente è dare sempre risalto alla buona musica.
A metà aprile del 1996, i No Doubt sono un gruppo rock dal discreto successo che si sta rendendo noto al grande pubblico dopo anni di lavoro più underground: i membri non hanno ancora trent’anni e hanno appena fatto uscire il terzo singolo del terzo disco, Tragic Kingdom. L’album è sul mercato da ormai sei mesi e, dopo un inizio in sordina, ha gradualmente migliorato le vendite man mano che passavano le settimane. Il nuovo estratto è un brano che si intitola Don’t Speak, una ballata lenta ed emotivamente intensa che nasconde al suo interno una storia che coinvolge molto da vicino due membri della band e un fresco ex membro.
Il “transfuga” che ha appena lasciato il gruppo è Eric Stefani, fratello della cantante Gwen nonché tastierista e uno dei compositori di punta dei No Doubt: Don’t Speak è originariamente una sua creazione. Eric lascia il complesso non appena Tragic Kingdom viene registrato per dedicarsi integralmente al suo lavoro di animatore di cartoni (in particolare, ai tempi lavorava a I Simpson) e tra le sue eredità c’è anche questo brano, inizialmente concepito come una canzone in stile anni 70, rockeggiante e veloce, come ha ricordato più volte Gwen Stefani: «All’inizio era un pezzo più ottimista, più rock». Prova dopo prova, lavorando tutti insieme sulla canzone, Don’t Speak si è però trasformata in qualcos’altro. Tony Kanal, bassista del gruppo, racconta: «Abbiamo composto diverse versioni di questa canzone prima di registrare quella di Tragic Kingdom. Ne abbiamo suonato diverse versioni nei concerti di quegli anni. Quella che si sente nell’album è probabilmente la terza o la quarta versione del pezzo».
Gli fa eco il chitarrista Tom Dumont nel corso di un’intervista collettiva a complex.com: «la canzone ha avuto un processo di incubazione molto lungo», dato confermato pure dal batterista Adrian Young: «Avevamo questo pezzo da tanto tempo prima di registrare Tragic Kingdom ma era diverso… C’era un’altra sezione, un bridge dopo la strofa, prima del ritornello. […] ci è stato consigliato di accorciare la canzone, per cui ne abbiamo perso un’intera sezione che si ripeteva due volte, all’interno del brano. Probabilmente in giro, da qualche parte, c’è anche questa versione in qualcuno dei nostri demo. Ci è voluto un po’ per abituarci. So per certo che abbiamo suonato questo pezzo tipo tremila volte in tutta la nostra vita».
Di fatto, il brano cambia pelle più volte sia a livello musicale, sia a livello di testo. Dalla canzone sentimantal-divertente che doveva essere, Don’t Speak diventa il racconto sentito e doloroso della fine di una storia d’amore lunga sette anni, una rottura traumatica. La vera rottura che si è consumata proprio tra Gwen Stefani e Tony Kanal nei mesi precedenti la realizzazione di Tragic Kingdom, infatti. Nonostante la difficoltà di entrambi, come ricorda lo stesso Tony, i due decisero di comune accordo di tenere duro per salvare la band: «Tutta quella roba che emerge dalla canzone era una cosa reale e noi la stavamo vivendo. È questo il vero punto della questione. Sono le nostre vite e quello che ci stava succedendo in quel momento. Era un periodo molto, molto intenso delle nostre vite ed è stato tirato fuori tutto […] Penso anche che sia una specie di testamento su quanto il gruppo contasse per noi. Non abbiamo lasciato che la cosa dissolvesse la band e siamo semplicemente andati avanti: ci ha reso più forti. Ma certamente è stata una sfida, per Gwen e me».
Rispetto alla canzone “ottimista” inizialmente concepita, più la Stefani la canta e più la sua vita personale impatta sulle parole della canzone, modificandole radicalmente. Secondo Kanal: «Quando io e Gwen ci lasciammo, le parole della canzone semplicemente raccontarono la rottura». La cantante conferma: «Quando io e Tony ci siamo lasciati è diventata una canzone triste […] Eric e io, molto irritati dalla situazione, andammo ostinatamente in garage e ci rimettemmo a scrivere le strofe e tutte le parole». La musica, del resto, seguì l’evoluzione del testo: archiviata una versione addirittura quasi jazz dell’arrangiamento, il brano si è assestato su una base più lineare, più compatta come ricordava Young ma comunque non priva di alcuni dettagli ricercati, come l’assolo di chitarra classica di Tom Dumont che ancora oggi si sente nel brano come bridge precedente l'ultimo ritornello e che il musicista ha raccontato di aver inciso usando un plettro (consapevole di scandalizzare i puristi, a suo dire).
Il risultato finale è una lenta ballad struggente, con un arrangiamento sobrio ed essenziale la cui intensità sonora cresce insieme con il pezzo. Al di là del tessuto musicale, ancora oggi colpisce l’interpretazione del testo di Gwen Stefani, inevitabilmente sentita viste le corde personali che tocca. Il tono ondeggia tra il patetico e il disperato, mantenendo una cupa tristezza di base che mostra tutta la qualità interpretativa della cantante, semplicemente perfetta nel dare anima al brano.
Il singolo venne commercializzato in tutto il mondo ma non negli USA dove, nonostante questo, venne suonato dalle radio in maniera massiccia (e su MTV il video andò praticamente subito in heavy rotation). A livello globale, Don’t Speak fu tra le hit che dominarono il 1996 e la sua forza propulsiva non si esaurì tanto presto perché conquistò la vetta della classifica del 1997 con le canzoni più suonate dalle radio, certificandone il successo stabile e duraturo, testimoniato anche dagli oltre quattro milioni di dischi venduti in tutto il mondo negli ultimi venticinque anni.