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La canzone della settimana: Starman, la canzone manifesto di Ziggy Stardust (e David Bowie)

La canzone (o l’album, dipende dall’umore del momento) della settimana è una rubrica fissa in cui proponiamo un disco oppure un singolo brano in particolare, approfondendo un minimo la sua storia, la sua importanza e – perché no, siamo qui apposta – la sua bellezza. Può trattarsi di opere estremamente recenti oppure molto, molto vecchie (al punto da poter essere definite “antiche”, talvolta): per noi non fa alcuna differenza, ciò a cui teniamo veramente è dare sempre risalto alla buona musica.


Starman è una delle canzoni più celebri di David Bowie, è vissuta come manifesto di tutto l’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars ed è tuttora uno dei brani più famosi di tutto il repertorio pop/rock degli anni 70 (nonché, già che ci siamo, la base di una quantità industriale di sigle, jingle e stacchetti di ogni genere, ancora oggi). Incredibile ma vero, nonostante tutto il successo accumulato in quasi cinquant’anni, abbiamo seriamente rischiato di non poterla ascoltare perché il pezzo non avrebbe dovuto esistere. La canzone venne inserita tra le varie tracce del disco solo al termine della lavorazione dell’album, su suggerimento esplicito di Dennis Katz, capo della sezione A&R della RCA Records, etichetta di Bowie, che chiese all’artista di scrivere un nuovo brano da usare come singolo di rottura.

Missione compiuta piuttosto trionfalmente, come ricorda Woody Woodmansey, ai tempi batterista degli Spiders From Mars, la band che accompagnava dal vivo e in studio David Bowie in quel periodo: «Era ovviamente un singolo! Credo che io e Mick [Ronson, il chitarrista della band, NdA] andammo insieme in auto subito dopo che David ce l’ha suonata per la prima volta… E la stavamo già cantando!». Quel pezzo concepito all’ultimo però contribuì in maniera decisiva al successo di tutta l’opera: dopo un riscontro di vendite iniziale non indimenticabile, Starman esplose letteralmente in seguito alla performance di Bowie e degli Spiders From Mars a Top Of The Pops, datata 5 luglio 1972 (e trasmessa in tv il giorno successivo). Da lì, il brano fece irruzione in Top 10, dove rimase a lungo, consacrandosi come seconda hit assoluta della carriera dell’artista londinese dopo Space Oddity. In pratica, fu il pezzo trainante di tutto l’album, di cui resta il brano più noto anche adesso.

Ma, successo a parte, la canzone come suona? Ben più radio friendly di diversi altri brani contenuti in Ziggy Stardust, Starman è un perfetto esempio di come Bowie, al suo meglio, era in grado di dar vita a riuscitissimi frankenstein musicali formati da diverse suggestioni che assorbiva nel corso dei suoi variegati ascolti. Se la strofa ha l’intelaiatura tipica di una canzone pop/rock del tempo, va anche detto che le sonorità complessive del brano sono più pop che rock, i suoni sono aggraziati e dosati, privi di aggressività, e la magniloquenza è data dall’apertura melodica del ritornello, invece che dai muri di chitarra. Proprio il ritornello dimostra la versatilità che il Duca Bianco aveva all’epoca e mescola in un solo particolare suono un accordo di chitarra e uno di piano, che formano un mini-interludio simile a quello che introduce You Keep Me Hangin' On delle Supremes, hit americana del 1966. Questa sorta di mini-bridge, come si chiama in gergo, introduce l’attacco vocale del ritornello, che riprende la melodia portante di Over The Rainbow, la canzone principale del film Il mago di Oz. Il pezzo è molto colto, a livello armonico, e l’uso dell’orchestra all’interno dell’arrangiamento arricchisce il brano, donandogli anche una sfumatura hollywoodiana che si sposa perfettamente con l’apertura melodica ricavata dalla citazione della pellicola con Judy Garland.

Per quanto riguarda il testo, invece, si è detto tutto e il contrario di tutto, anche grazie a una buona dozzina di interviste sul tema di Bowie, che si è sempre divertito un mondo ad abbozzare diverse interpretazioni delle sue stesse canzoni ogniqualvolta gli si chiedesse di parlarne in pubblico… La verità non la sapremo mai ma forse non è nemmeno così importante saperla. Fatto sta che si parla di un uomo delle stelle (ovviamente) che attende nel cielo di mostrarsi all’umanità ma è titubante perché teme di poter sconvolgere gli uomini, rivelandosi. Di fatto, sebbene Ziggy Stardust sia un concept album – cioè un disco che racconta un’intera storia, canzone dopo canzone – Starman ne è però in qualche modo indipendente, anche se collegata: il testo può benissimo riferirsi alla storia di Ziggy ma rimane sufficientemente generico per funzionare anche a sé stante.

Cinquant’anni quasi e non sentirli, insomma: Starman può funzionare come singola summa di tutta la carriera di Bowie perché ne rappresenta perfettamente l’unicità e l’alterità, la differenza visibile che corre tra l’artista londinese e tutti gli altri cantautori dell’universo rock (e non solo). C’è la sensibilità più squisitamente pop che si mescola all’ossatura innegabilmente rock della canzone, il riferimento all’immaginario hollywoodiano e alla musica black americana, di cui Bowie era avido consumatore, senza dimenticare il contesto spaziale e il testo vagamente messianico, che in fondo può benissimo riferirsi allo stesso Bowie, che proprio grazie a tutto il disco e a Starman divenne effettivamente una stella lui stesso per la prima volta.

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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