La fortuna di Chappell Roan: Good Luck, Babe!
Il 2024 si è concluso da pochi giorni e, tra le canzoni che l’hanno dominato, c’è sicuramente Good Luck, Babe!, la hit che ha consacrato Chappell Roan tra le popstar emergenti più interessanti dell’anno (l’unica concorrenza credibile è quella di Sabrina Carpenter che, peraltro, si è esibita in una sua versione del brano della Roan).
Ventisei anni (presto ventisette), la cantante originaria del Missouri ha conosciuto negli ultimi dodici mesi la sua stagione di maggior successo ma ha lavorato moltissimo per arrivare al punto in cui è ora e, va detto, gran parte della critica musicale underground e di nicchia si aspettava la sua esplosione mainstream sin dal 2022. La deflagrazione definitiva è arrivata a circa metà del 2024, in seguito a una prima parte dell’anno in cui ha aperto la fase iniziale del Guts World Tour di Olivia Rodrigo e, come si diceva, grazie al rapido successo di Good Luck, Babe!
Per capire al meglio il brano, ha senso partire da una frase in merito di Alex Kapranos, cantante e fontman dei Franz Ferdinand: «Non conosco nessuno a cui non piaccia». Ascoltando il pezzo, in effetti, la sensazione è che sia una canzone in grado di contenere una scintilla, un passaggio, un momento che possa piacere a chiunque.
Siamo sempre nel territorio del revival synth pop, con i sintetizzatori anni 80 che la fanno da padrone nell’arrangiamento e che, mischiati con la voce eterea e guizzante della Roan, danno subito la sensazione di star ascoltando una canzone perduta di Kate Bush. Fermarsi però alle sole influenze sarebbe ingiusto e banale, perché Good Luck, Babe! ha anche una sua forza intrinseca che va ben oltre le somiglianze sornione o le citazioni alla storia del pop.
L’arrangiamento è lineare, quasi scarno e perfettamente funzionale a far risaltare specialmente le doti vocali e l’interpretazione enfatica della Roan, la cui limpidezza vocale – specialmente nelle note alte – risplende nello scintillante tintinnio del ritornello. La melodia del chorus, infatti, è la vera gemma/asso pigliatutto del brano: una sequenza di parole che suona come un unico gorgheggio francamente perfetto per le qualità della cantante americana. I violini che entrano gradualmente nel brano impreziosiscono il quadro generale senza sembrare la classica aggiunta di volume dozzinale a un arrangiamento stracarico e agevolano la sensazione di costante ascesa che dà il brano, il cui culmine ideale è l’acuto finale con cui la Roan chiude il bridge.
Semplici ma perfettamente incastonati nella struttura del brano anche le strofe e i pre-ritornelli, tendenzialmente giocati su note più basse per dare un contrappunto al ritornello, che invece si snoda su toni più alti.
Il risultato finale è una canzone che ricorda un po’ la Kate Bush degli anni 80, un po’ la prima Madonna, un po’ la Gwen Stefani di Cool e, più in generale, finisce per essere un pezzo leggero ma ironico con un fascino sottilmente struggente che deriva da un’anima malinconica che, più che le parole, viene trasmessa all’ascoltatore dalla successione melodica della voce, che più di ogni altra cosa conferisce al brano la sua temperatura emotiva finale.
Un instant classic contemporaneo ma coi suoni retrò che tanto vanno di moda negli ultimi anni e, non a caso, fior di artisti ne stanno proponendo una cover. La sensazione è che sentiremo parlare di Good Luck, Babe! ancora a lungo, negli anni a venire.