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La rivincita di Napster. Più nuova musica grazie al file sharing

È quanto emerge da uno studio di Glynn Lunney, professore alla Tulane University, intitolato Empirical copyright: a case study of file sharing and music output.

Nel 1999 nasceva Napster: erano gli albori della musica su digitale e di un lungo periodo di sostanziale anarchia normativa che ha raggiunto una stabilità con l'avvento delle piattaforme di streaming. In un decennio gli incassi delle vendite negli Usa si sono più che dimezzati, da 22 miliardi di dollari nel 1999 a 9 miliardi nel 2011, mentre il traffico di file condivisi è aumentato di cinquanta volte.

Lunney allora ha analizzato la top 50 della classifica Billboard dal 1985 al 2013, osservando l'andamento di variabili come nuovi artisti, numero di singoli per artista, numero di cover. I risultati sono lontani dalle aspettative: il crollo ha toccato la dimensione industriale della discografia ma non quella creativa. Data la minore protezione del copyright meno persone intraprendono la carriera musicale, ma in compenso ogni artista produce mediamente più musica che vent'anni fa. Dunque, quello del copyright sarebbe un falso problema.

Lo stesso fenomeno è dimostrato, per contrasto, anche in tempi non sospetti. Un ricercatore, Mike Scherer, ha studiato la produttività di Giuseppe Verdi in seguito all'introduzione del diritto d'autore in Italia. Grazie al copyright, i guadagni derivanti dalle singole opere aumentarono e Verdi iniziò a scrivere decisamente meno opere per decennio. Ma questa è un'altra storia.

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