Rolling in the Deep, Adele al suo meglio
Nuovo appuntamento con "La hit della settimana", una rubrica fissa in cui proponiamo un brano recente in particolare, approfondendo un minimo la storia che c’è dietro la sua scrittura e la sua realizzazione per immergerci fino in fondo nel “clima” della canzone. Il pezzo di oggi, peraltro, è stato parte della scaletta dello spettacolo tenuto da Cluster lo scorso 23 aprile 2022 presso il teatro PIME.
Rolling in the Deep non è la tipica canzone di Adele. O meglio, non lo era per niente a fine novembre dell’ormai lontano 2010, quando è uscita in qualità di anticipazione di 21, secondo album della cantante britannica. Diventata nota essenzialmente grazie al soul del primo disco, chiaramente ispirato al blues revival di cui è stata protagonista Amy Winehouse ma anche pieno di ballad sentimentali, spesso lente e occasionalmente anche patetiche (nel senso alto del termine), Adele torna in pista dopo una breve pausa di riflessione con un brano potente, caratterizzato da un respiro quasi country-folk e una sezione ritmica che, all’epoca, è stata perfettamente definita come «marziale».
Del resto, Rolling in the Deep è una canzone di rivalsa, di rivincita, quasi di vendetta. È un’invettiva rivolta a un amante deludente, qualcuno che ha tradito non solo la fiducia ma anche le aspettative riposte in lui in maniera tale da trascendere dispiacere e tristezza per scatenare invece una reazione di rabbia. Il testo racconta esattamente questa storia e questo genere di emozione mentre la musica sale gradualmente di intensità e l’arrangiamento aggiunge strumenti man mano che si procede verso il primo ritornello che è un esplosione improvvisa, un’apertura piena di melodia e intensità. Il tutto mantenendo un’essenzialità purissima, a livello produttivo, senza infarcire il brano di strumenti su strumenti o decine di sovraincisioni vocali.
Un contributo decisivo alla “perfezione” del pezzo arriva del resto da Paul Epworth, musicista, autore e produttore britannico con un ricchissimo background fatto essenzialmente di rock indipendente e successivamente passato al pop. Le sue radici, così diverse da quelle di Adele, hanno dato vita a un’ibridazione riuscitissima, in cui la voce così soul della cantante si adagia in maniera complementare al tessuto sonoro elaborato da Epworth, a cui la stessa Adele ha riconosciuto la capacità di spronarla a raggiungere terreni per lei ignoti e mai sperimentati prima. Non solo, la cantante ha raccontato così la loro collaborazione: «un abbinamento arrivato dal Paradiso», nata dopo un’iniziale diffidenza a causa del passato musicale così differente tra il suo e quello del produttore, apparentemente non comunicanti.
Probabilmente, il colpo di genio dell’arrangiamento finale della canzone è l’aggiunta delle seconde voci nei ritornelli, un contrappunto che non ruba la scena ad Adele ma irrobustisce la struttura del brano, gli dona una certa sfumatura gospel e segna ulteriormente la scansione del ritmo della grancassa, grandissima protagonista di Rolling in the Deep. Questo però non deve distrarre dalla stella polare della canzone, il centro dell’universo musicale della composizione e dell’arrangiamento, che è ovviamente la voce di Adele. Il pezzo esalta ogni qualità della performer britannica: il corpo, il timbro, l’estensione e – specialmente – l’interpretazione. Adele non ha paura di “sporcare” l’esecuzione e graffiare qualche nota arrochendo benissimo la voce quando serve, sia per alimentare nel modo giusto il racconto della sua storia, sia per sostenere l’intensità crescente dell’arrangiamento, sia per colorare emotivamente l’esecuzione. E tutto contemporaneamente. Dopo tutto non c’è bisogno di noi per comprendere che Adele è una delle più grandi cantanti degli ultimi dieci anni.
La cura e l’ispirazione che stanno dietro Rolling in the Deep hanno avuto un enorme riscontro anche a livello commerciale: parliamo di una hit da oltre venti milioni di copie. Venti milioni, negli anni dieci del Duemila. Un risultato che definire enorme non rende l’idea. Un successo che tra l’altro è globale e trasversale a tutto il mondo, in grado di conquistare gli USA come la Corea, passando ovviamente per l’Europa e persino l’America latina (con il Messico in testa). Una canzone in grado di affascinare tremendamente anche altri artisti in maniera del tutto inattesa: persino Aretha Franklin e i Linkin Park (!) hanno infatti voluto misurarsi con questo pezzo.