Rolling Stone: due parole, infiniti significati rock
È un curiosissima coincidenza eppure è allo stesso tempo un fatto: all’interno della cultura rock, il sintagma di due parole rolling stone è una formula ricorrente in un modo francamente incredibile. Come sanno anche i sassi – è proprio il caso di dirlo – la traduzione letterale in italiano di rolling stone è “pietra che rotola/pietra rotolante”. In inglese, è contemporaneamente il titolo di una celeberrima canzone di Bob Dylan che simboleggia essa stessa l’inizio del rock così come lo conosciamo e il nome di una delle band che hanno tracciato la rotta musicale in quegli stessi anni. Infine, è il nome della rivista rock più famosa di sempre, anch’essa nata proprio in quel periodo, i ribollenti anni 60. Una serie di coincidenze pazzesche che forse così coincidenze non sono, tutto sommato.
Tutto parte da un detto popolare inglese che recita a rolling stone gathers no moss, che in italiano si traduce come “pietra smossa non fa muschio” e indica, stando al Cambridge Dictionary, «una persona continuamente in viaggio e che cambia spesso lavoro, qualcuno con il vantaggio di non avere particolari responsabilità ma anche il problema di non avere riferimenti fissi nella propria vita». Sebbene dalle nostre parti quello della “pietra smossa” che “non fa muschio” non sia un proverbio particolarmente diffuso, in contesto anglofono l’uso di questa similitudine è molto più ampio e sostenuto. Ne esistono svariate tracce in letteratura (per esempio ne Il signore degli anelli, tanto per citare un caso) e l’espressione è considerata di uso comune.
A cavallo tra 1949 e 1950, un bluesman che inizia ad avere un certo riconoscimento popolare trova per esempio naturalissimo adoperare l’espressione “rolling stone” per il testo di un suo nuovo pezzo, il primo che inciderà di lì a breve per la sua nuova etichetta discografica, la Chess Records. Il bluesman americano in questione è chiaramente Muddy Waters e il brano è Rollin’ Stone, l’inizio di tutto il processo che ha trasformato queste due parole nelle più celebri della storia del rock (che, in quanto filiazione del genere del rock and roll nasceva già in possesso di una certa affinità con i concetti di “pietre” e di “rotolare”, seppure l’espressione non venisse usata in senso letterale da decenni).
Waters e la sua musica diventano un’influenza fondamentale per i musicisti degli anni 60, i quali hanno vissuto l’adolescenza e la primissima giovinezza nel decennio precedente, consumando quantità industriali di musica black, in particolare di blues e di rhythm’n’blues, da ambo i lati anglofoni dell’oceano. Tra questi, c’è anche un gruppo di cinque ragazzotti inglesi che nel 1962 danno vita a una band che intende fare musica blues in quella Londra agli albori del periodo beat. I cinque musicisti – di nome Mick Jagger, Brian Jones, Keith Richards, Bill Wyman e Charlie Watts – più o meno per caso decidono di chiamarsi Rolling Stones quando, al telefono con la redazione di un giornale musicale, si trovano a doversi inventare un nome lì per lì e sul pavimento appare proprio un LP di Muddy Waters contenente Rollin’ Stone.
Tre anni più tardi, più o meno nello stesso esatto momento in cui gli Stones compongono e incidono (I Can’t Get No) Satisfaction, Bob Dylan prende la decisione che gli cambia la carriera e lo trasforma definitivamente nel padre americano del rock: attacca il distorsore alla chitarra e crea Like A Rolling Stone, ancora una volta richiamando il classico di Muddy Waters da un lato, il popolare proverbio dall’altro e, nel mezzo, alludendo tra le righe alla sua volontaria, decisa e inesorabile svolta rock. Una decisione che gli ha attirato una valanga di contestazioni dal suo primo pubblico, quello legato al folk statunitense, e che è stata fonte di infinite controversie, all’epoca; oggi, poiché il brano è una pietra miliare assoluta e ben sedimentata del nostro immaginario pop-rock può sembrarci incredibile ma la decisione di Dylan di arrangiare Like A Rolling Stone in quel modo si sarebbe potuta definire persino impopolare, in quel 1965.
Due anni e mezzo dopo, nel novembre del 1967, esce il primo numero di Rolling Stone, la rivista che per antonomasia racconta il mondo del rock e tutto ciò che ci gira attorno. Jann Wenner, fondatore della testata, non prova nemmeno a nascondere le origini del nome in quel leggendario primo editoriale e svela ai suoi lettori tutta la questione, partendo dal proverbio per arrivare a Bob Dylan, passando per il pezzo di quasi vent’anni prima di Muddy Waters e per i Rolling Stones stessi. Wenner ammette candidamente, battezzando il suo neonato giornale in quel modo, che le parole rolling e stone non sono e non possono essere termini neutri, se si parla di rock. Oggi, quasi sessant’anni dopo, le pietre continuano a rotolare come in quel lontano 1967… e a noi va benissimo così.