Song2: il gioiello dei Blur compie venticinque anni
È la tarda primavera del 1997. In Inghilterra siamo appena all’inizio del lento ma costante declino della scena brit-rock, in parte soppiantata dall’ondata più leggera del brit-pop, dalle Spice Girls alle boyband, dalla musica elettronica che inizia a flirtare con il mainstream e dall’easy listening internazionale, quel mischione di musica di facile accesso e ascolto che raccoglie matrici di genere diversissime l’una dall’altra. Gli Oasis e i Blur, nonostante tutto, sono ancora piuttosto rilevanti, per le classifiche, per il contributo alla musica contemporanea e i loro milioni di fan in tutto il mondo non sono certo spariti, anzi. Anche artisticamente, le due band capofila del brit-rock hanno più di una cartuccia ancora in canna e tutta la voglia del mondo di esplodere ancora qualche colpo a effetto.
I Blur, in particolare, hanno appena sfornato uno dei loro apici assoluti, a livello di scrittura di canzoni e, in radio, ormai da qualche giorno, pare che qualcuno se ne sia accorto. Song2, l’ultimo singolo della band dell’Essex, sta accumulando sempre più passaggi sulle tv musicali man mano che passano i giorni e il suo fascino si sta espandendo a macchia d’olio. Una canzone buttata giù alla buona, quasi per scherzo, sta scalando la classifica dei singoli più venduti del Regno Unito e non solo: Olanda, Australia, Canada, l’intera Europa stanno impazzendo per Song2.
Graham Coxon, chitarrista e co-autore del brano, non ha mai potuto crederci. Ai tempi era fermamente convinto che la canzone fosse «di gran lunga troppo estrema» per funzionare a livello commerciale… Ma si sbagliava. Lui, Damon Albarn, Alex James e Dave Rowntree credevano di aver messo in piedi una sorta di pezzo-parodia, un tentativo di sabotaggio dall’interno del buon funzionamento di un’etichetta discografica “programmata” per sfornare successi a ripetizione. Song2 nasce come gioco interno al gruppo, come non-sense industriale, quasi, e comincia con Albarn che propone agli altri componenti della band l’ascolto di una strana, sghemba canzone acustica con un giro di chitarra classica piuttosto lento e il cantante che fischietta l’ululato che poi renderà celebra il brano, invece di cantarlo. Coxon, appena ascolta la demo, viene colpito da un’idea folle: propone di registrare il pezzo ma solo dopo averlo accelerato a dismisura e averlo suonato al massimo della distorsione. Una volta pronto, costringere la casa discografica a farlo uscire come singolo. Gli altri Blur, convinti dal chitarrista che una richiesta del genere avrebbe terrorizzato i discografici e trovando il tutto esilarante, accettano immediatamente la proposta.
Il testo che Albarn butta giù è una sequenza di concetti vaghi e non consequenziali: per stessa ammissione dei Blur, sforzarsi di trovarci dentro un senso è un’operazione oziosa perché, volendo, ci si potrebbe trovar dentro qualunque significato… è puro non-sense. Allo stesso modo, Coxon sceglie il tipo di suono che vuole per la sua chitarra di getto, in maniera totalmente istintiva, cercando anzi di dare il più possibile l’idea di grezzo, non lavorato, rozzo e impreciso. «All’epoca ero stufo di dovermi inventare parti complicate», ricorda il chitarrista.
Comunque sia nata, Song2 – che conserva ancora il titolo provvisorio di lavorazione, di cui il numero testimonia semplicemente che era la seconda da provare, secondo la scaletta del gruppo – è una canzone a suo modo perfetta. È violenta, è aggressiva, è grezza e rabbiosa ma anche affascinante, energica e coinvolgente: la durata è indovinata al millimetro, i 2.02 minuti per cui il brano prosegue coinvolgono l’ascoltatore lasciandogli però il desiderio di proseguire l’ascolto. Nella sua essenzialissima linearità, non ha un momento di cedimento né alcun passaggio più debole: gli uh-uuuuh di Albarn sono il tratto distintivo immediato, la melodia di strofa e ritornello è basilare ma azzeccata e la stratificazione sonora che Coxon, James e Rowntree mettono a punto – a cominciare dal beat della batteria – sovrappone uno sull’altro dei livelli di suono che si incastrano alla perfezione.
Il risultato è una hit magari del tutto involontaria ma pura, trascinante ed enorme. Non a caso, ancora oggi fa proseliti, ancora oggi viene usata negli stadi, nelle pubblicità, negli spettacoli e nelle sigle di ogni genere: semplice, sporca, brutta e cattiva. Eppure, ancora maledettamente perfetta.