Coro Gospel: a ruota libera con Piero Basilico
Che cosa è un coro? Un insieme di voci che cantano? Un gruppo di persone che eseguono la stessa partitura? In Italia, sopratutto al Nord esiste una grande tradizione di cori riconducibile agli alpini, fiore all’occhiello della coralità popolare, oppure legata alla musica operistica (i grandi cori che nelle opere liriche hanno un ruolo importantissimo) o alla polifonia sacra. Io stessa, in un passato molto remoto, proprio a Cluster mi ero iscritta al corso di coro della scuola, devo dire con grande soddisfazione: perché cantare insieme è un’esperienza unica, dà energia e non c’è la vergogna di esporsi, sei protetta dal gruppo. Qualunque definizione è riduttiva, il coro in quanto tale, è un insieme vivente di sentimento e energie. Gli appassionati coristi e direttori in questo lockdown da Covid hanno dovuto sospendere la loro attività, il divieto di assembramento e il distanziamento sociale hanno reso impossibile il cantare insieme. Siamo partiti da qui per la nostra intervista con Piero Basilico, maestro e direttore del coro gospel a Cluster, fondatore del Bruco Gospel Choir e direttore artistico della Feder Gospel Choirs.
Con lui abbiamo voluto saperne di più sulla vita propria dei cori gospel, di cui lui è appassionato da sempre e che tanto sono amati dal grande pubblico.
Piero Basilico cresce con la musica in tasca, fisarmonica e tromba sono i suoi strumenti: frequentando le parrocchie, inizia anche a suonare la chitarra. Come dice Sant’Agostino, “il canto è un messaggio forte e chi canta prega due volte” e fare musica per lui è stato “mettermi in pace con la coscienza, cantando il gospel facevo quello che mi piaceva riuscendo a osservare il precetto”. Un matrimonio tra sacro e profano che negli Stati Uniti accade spesso, il gospel ad esempio arriva da una fusione di spiritual e blues (in osmosi tra soul e musica popolare). Anche in Italia c’è stato questo momento: l’impulso pop riuscì a entrare nella vita liturgica con le Messe Beat alla fine degli anni Sessanta. Create per i giovani (vedi Marcello Giombini su YouTube, https://youtu.be/CwjA61xeTCE ), “sembrava di avere in Chiesa gruppi come I Camaleonti, le Ombre, i Beatles. Io sono figlio di quella musica lì, del canto di gruppo, dell’animazione oratoriale. Come tanti altri tanti direttori di coro della mia generazione (classe 1964, ndr) abbiamo sperimentato nei campeggi, negli oratori, si suonava la chitarra a ogni occasione, c’era molta musica intorno a noi e si oscillava tra Sapore di Sale e Laudato sì.
Questo - conclude Basilico - è molto di più che saper leggere una partitura, la capacità di gestire le voci vale moltissimo e non è detto che si debba essere ottimi musicisti per saper gestire il gruppo”.
Partiamo dalla base: cos’è il gospel?
I canti gospel nascono dagli Spirituals afroamericani, canti nati nei campi di lavoro in cui gli schiavi neri passavano la loro vita. Gospel significa Vangelo, sono preghiere cantate, a volte intime, molto spesso gioiose. Il coro Gospel nasce come Community Choir. Spesso accade, principalmente nella tradizione afroamericana, che il direttore di coro sia anche il leader spirituale del gruppo.
Come è organizzato rispetto alle coralità esistenti?
“Nella coralità classica- spiega Basilico- le sezioni di voci sono quattro (soprani, contralti, tenori, bassi); nei cori alpini, invece quattro voci maschili (tenori I, tenori II, baritoni e bassi). Il gospel, invece, è formato da soprani, contralti, tenori. I bassi, normalmente non ci sono, esistono solo nelle formazioni ridotte, nei quartetti / quintetti, come ad esempio nel Golden Gate Quartet (https://youtu.be/6ArGIbvrxlc). Nei gospel contemporanei, dove normalmente c’è una band con il basso che suona, la voce basso non esiste” .
(Piero Basilico parla a ruota libera, è un vulcano di parole e di entusiasmo, difficile bloccarlo e non voglio farlo, sento che c’è un filo unico tra un riferimento e un altro, andando avanti con la conversazione, capisco che è la passione infinita che il maestro ha per l’arte del coro e per la musica in generale).
Il maestro continua raccontando che la timbrica delle voci nere è davvero unica, con possibilità di estensione che dal basso possono arrivare a punte di contralto senza falsetto, mentre le voci dei bianchi, a malapena da tenore arrivano a contralto. Il problema dei cori gospel italiani è che non hanno a disposizione molti uomini, quindi c’è predominanza di contralti e soprani. Non esiste neanche una vera e propria formazione accademica per i direttori (al Conservatorio la formazione è dedicata solo ai cori legati alla lirica o alla musica classica) ma negli ultimi anni le cose sono cambiate anche in questo senso. In Italia per imparare a dirigere un coro ci sono molte possibilità non istituzionali, ad esempio alla Feder Gospel Choirs esistono seminari, workshop e corsi di formazione da più di dieci anni.
In lockdown a Cluster come avete organizzato la didattica?
Una delle sofferenze più grosse è stato proprio l’impossibilità fisica di ritrovarsi. Come fanno i contadini nel mese di gennaio, abbiamo puntato a “mantenere il seme”. C’era una… come dire… privazione di armonia. Non solo musicale ma anche psicologica. Era fondamentale mantenere vivo il senso dell’incontro, ritrovarsi puntualmente una, due volte la settimana. Siamo quindi passati alla didattica online con tutti i limiti che per un coro comporta: non esiste ancora una piattaforma in grado di farci cantare in contemporanea e la relazione one to one è l’antitesi di un coro. Però abbiamo capito (con Vicky Schaetzinger, direttrice della scuola) che c’era la voglia di ritrovarsi. I sorrisi degli studenti, la loro voglia sono stati molto motivanti… dopo i primi esperimenti sulle varie piattaforme, quando abbiamo trovato quella giusta (nonostante neanche questa prevedesse molta interazione) il ritrovare visivamente il corista, vederlo ricominciare a muoversi seguendo la ritmica del pezzo, riprendere con tutti gli atteggiamenti di un coro vero è stato impagabile: anche se imperfetto, anche se di base tutto parziale, la carica che ne abbiamo reciprocamente ricevuto è stata grande… funzionava! Avevamo ripreso il contatto! Comunicare, è stato importante.
E l’inizio di questo nuovo modo di insegnare come è avvenuto?
Abbiamo cominciato con Revelations 19.1 (poi diventato un video). Aver aperto questo primo coro anche al di fuori del coro gospel non solo ha aiutato (ci sono tantissimi bravi cantanti a Cluster), ma ha unito tutti e ha dato anche più voglia di esserci.
Anziché mantenere i tre livelli delle classi, le abbiamo mischiate, facendole diventare due: questo è stato formativo, si è creata un’atmosfera da vero community choir.
Anche a me personalmente, ha riempito la vita, le settimane.
L’approccio formativo online, ora che è stato sperimentato a dovere, può diventare una forma continua di insegnamento per un coro?
No, direi di no. Ma vero è che, nato come palliativo, l’insegnamento online ha comunque portato gli allievi a migliorare molto. Credo che di questa esperienza ci porteremo a casa qualche strumento didattico nuovo, e potente, come l’ascolto e la visione dei video dei singoli cantanti, che ha messo alla prova molti tra gli allievi, ma che ha contribuito ad innalzare la loro capacità di autoesigenza.
Cosa fa un direttore di coro? E’ un cantante più bravo degli altri?
Esistono direttori musicisti (pianisti, ad esempio), direttori cantanti (pochissimi) e c’è chi non è né uno né l’altro. Al di là della qualità, è chiaro che la musicalità e l’intonazione sono fondamentali, ma oltre a queste basi, i più bravi sono buoni musicisti, intendendo con ciò qualcuno che sappia relazionarsi con la musica, che sappia comprenderla. Il coro, pensiamoci, prima di essere un sofisticatissimo strumento musicale è innanzitutto una comunità, il coro gospel ancora di più. Un bravo direttore quindi prima di tutto deve avere la leadership, sentirsi guida, se poi a questo si unisce anche la capacità musicale, l’alchimia è perfetta.
Come ha detto Karen Gibson (qui, in u'immagine della BBC), direttrice del The Kingdom Choir (la loro versione di “Stand by me” cantata in occasione del Royal Wedding del Principe Harry con Meghan Markle, su YouTube ha avuto 12 milioni di visualizzazioni https://youtu.be/AyFlLjdNqk8) durante il primo workshop per direttori coro organizzato dalla Feder Gospel Choirs “la prima cosa da fare per un buon direttore è saper usare i supporti che ha: la gente che ti ritrovi, i musicisti, la tecnologia a disposizione”.
Come è stato il tuo arrivo a Cluster?
Ci sono arrivato come… tappabuchi, ora, invece è diventata una parte importante della mia vita.
La nostra amicizia è nata con l’ospitalità che una volta Vicky (Schaetzinger, la direttrice della scuola) ha dato a un incontro del Feder Gospel Choirs. Entrando a Cluster, mi sono sentito di essere come in Fame, in Saranno famosi… Si respirava l’energia del fare musica, anche se era week end e in realtà non c’era nessuno. Ma sentivo uno spirito diverso, io non conosco tante scuole, ma qualcuna comunque l’ho frequentata... non so se si può definire spirito gospel ma quello che ho sentito lì ci assomiglia molto, è il senso della comunità. A Cluster il talento aleggia dappertutto. E poi c’è tutta la parte di lavoro, business, quello vero e proprio. Persone che della loro passione hanno fatto un lavoro, che tra l’altro va a formare i più giovani e tramandare la propria passione alle nuove generazioni… cosa c’è di più bello nella vita? Vorrei riuscire a farlo io nell’architettura (Basilico, nella vita quotidiana, fa l’architetto, con laurea in Architettura & Design, ndr). Quindi i cori di Cluster forse non sono veramente gospel, ma essendo inseriti in quel contesto, il cui spirito è gospel, lo spirito della comunità, poi si prendono anche quella parte lì. E anche con i musicisti docenti mi sono trovato bene, ho avuto feeling istintivamente.
Siamo usciti dal lockdown, la situazione dei cori si sta risolvendo?
Ci stiamo ragionando. Le mie classi hanno 35 allievi ciascuna, non abbiamo lo spazio dove metterli. Alcuni sono felici comunque di fare lezioni online, altri, anche solo per motivi tecnologici, non ce la fanno, non riescono a essere capaci di sentire le connessioni trasversali. Il coro in Italia, essendo amatoriale, non ha mai uno spazio proprio, si appoggia sempre ad altre strutture, come i teatri. Siamo quindi legati alle decisioni di altri… ma i teatri e le varie strutture stanno riaprendo, ognuno sta trovando una propria soluzione per ricominciare a fare attività rispettando il protocollo di sicurezza. Noi ci siamo già confrontati con il teatro del Pime per organizzare gli spazi in maniera adeguata, l’obiettivo è ritornare a fare musica nel rispetto sia delle norme sia della nostra voglia di essere comunità che canta e suona: una comunità artistica.
(Una soluzione interessante è stata trovata dal teatro la Fenice: hanno smantellato la platea, facendola diventare lo spazio dell’orchestra e del coro creando quindi la possibilità del corretto distanziamento sociale e posizionando il pubblico sul palco e sui loggioni, ndr.)
Usi spesso la definizione di leader e di lead voices: cosa intendi esattamente?
I cori sono meccanismi sensibili e delicati, ci sono dinamiche di reciprocità da rispettare. Se il gruppo viene percepito solo come un accessorio superfluo, come un’esperienza parallela, questo non va bene. E succede, ad esempio, con cantanti solisti che aggiungono l’esperienza del coro alla loro formazione senza considerarla prioritaria… questo vale anche per le lead voices, le voci guida, quelle che spiccano dal gruppo. E invece il coro è un team, un po’ una famiglia, si accetta il giocatore più bravo perché ti fa vincere, ma si pretende la reciprocità da parte delle lead voices. Il Cardinal Martini e il presidente Pertini erano leader, così come lo è Mattarella. Quando canti nel coro le voci guida devono connettersi con le altre voci, solo attraverso questa connessione si può essere riconosciuti come leader, ho avuto tante esperienze non felici in merito. Quest’anno abbiamo fatto un concerto, con la cantante jazz Rossana Casale, esempio di voce solista di alto livello che è stata in grado di relazionarsi con il gruppo, riuscendo a instaurare la relazione giusta in pochissimo tempo: è questione di sincerità, di chiarezza, di amore in fondo…
Progetti per il futuro?
Adesso sono uscito con un progetto della Feder Gospel Choirs, di cui sono direttore artistico: il 21 di giugno festa della musica, è uscito un video con 180 coristi da vari gruppi, sono stati coinvolti molti direttori ed un importante ospite internazionale. Un coro virtuale, con il quale abbiamo preparato le parti di un repertorio comune.
Sempre con la Feder Gospel Choirs avevamo organizzato due workshop per direttori di coro (ad aprile con Ken Burton, direttore tra l’altro della London Adventist Chorale e a ottobre con Percy Gray e Feranda Williamson, direttore e CEO del Chicago Mass Choir): purtroppo tutto è slittato all’anno prossimo.
Cluster e Feder Gospel intanto stanno facendo sempre più amicizia. E io ho deciso, anche ora che ho ripreso a lavorare, di voler continuare a dedicare metà del mio tempo a preparare lezioni, studi, scrivere appunti: ho proprio capito che quella scelta fatta tanti anni fa dopo le elementari (di non seguire la carriera musicale) ora va riconvertita: anche se non è stata una scelta di vita, la musica è comunque la mia vita e non soltanto un semplice hobby.