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La storia della musica in pillole: il britpop

«La storia della musica in pillole» è una rubrica fissa in cui ripercorriamo, in una tappa per volta, un momento, un genere, un periodo, un movimento musicale che ha segnato l’evoluzione del pentagramma (e delle nostre vite, in fondo). Senza pretese di esaustività, senza ambizioni accademiche esagerate, questi nostri articoli intendono essere agili Bignami da cui ricavare qualche indizio d’ascolto o un minimo di curiosità per scoprire – o riscoprire – le tantissime sfumature musicali che hanno attraversato il globo dalle origini a oggi.


Ovviamente, "Il britpop non esisteè una semplificazione enorme. Ed è anche una semplificazione che non si riferisce al momento specifico – gli anni 90, specie nella prima metà – o al “movimento” collegato, né all’impatto sulla cultura pop mondiale: tutti e tre questi aspetti sono ampiamente esistiti, è folle sostenere il contrario, anzi. Tuttavia, per quanto sia una formula a effetto che riesce facile usare perché è molto sintetica, ha anche un suo fondo di verità: dimostrare che sia esistito un britpop in quanto genere codificato con sue regole molto precise è veramente dura.

Ma andiamo ai fatti, in modo da chiarirci un minimo le idee: prima di tutto, si definisce normalmente come britpop un particolare movimento musicale, nato chiaramente nel Regno Unito, che si sviluppa nei primissimi anni 90 per toccare il suo apice alla metà del decennio e spegnersi non troppo lentamente prima del cambio di millennio. Tra gli artisti di riferimento della corrente, di solito, si citano soprattutto: Suede, Elastica, the Auteurs, Denim, Saint Etienne, Pulp e ovviamente i Blur e gli Oasis, le due punte di diamante del periodo.

Proprio com’era successo a Beatles e Rolling Stones negli anni 60, la “faida” tra Blur e Oasis monopolizzò copertine e dibattito pubblico in Gran Bretagna a partire dal 1995, con le due band che si davano battaglia a suon di hit. A differenza dei loro predecessori illustri dell’epoca della swinging London che erano del tutto disinteressati alla narrazione giornalistica che ricamava su un confronto del tutto inesistente a livello personale, Blur e Oasis scesero in campo in maniera più antagonista: se Beatles e Stones erano addirittura amici, nel privato, i loro epigoni degli anni 90 invece non se le mandavano a dire. Ancora oggi si trovano facilmente sul web le interviste pungenti di allora, preferibilmente strapiene di stilettate per i rivali: di fatto, questo periodo ha rappresentato la fase più acuta dell’epopea britpop nonché quella conclusiva, visto che già nel 1997 l’attenzione si stava spostando su Radiohead e The Verve, fin dal principio definiti come post-britpop. L’etichetta finì ben presto per stancare il pubblico anche a un livello di narrazione pop ed era già abbondantemente nel dimenticatoio al cambio di millennio.

Come si nota dall’eterogeneità dell’elenco degli artisti che normalmente si identificano con il marchio di qualità “britpop” appiccicato sopra, pensare che il britpop sia un genere è molto complesso: ogni band è molto diversa dall’altra per stile, influenze e caratteristiche. Come si fa ad accostare gruppi che fanno ampio uso di elettronica e hanno vastissime reminiscenze anni 80 con altri che invece forgiano il loro sound soprattutto nel rock anni 60 e che, tolto il distorsore della chitarra, non hanno nulla a che fare con la manipolazione dei suoni?  Per esempio: se gli Oasis hanno radici profondamente beatlesiane indissolubilmente legate al tipo di sound “analogico”, i Suede si rifanno a una musica rock già più spinta degli anni 70 e 80 mentre i Blur hanno invece attraversato anche una fase di profonda contaminazione elettronica e hanno subito un’influenza netta dalla musica psichedelica di fine anni 60.

Probabilmente, oltre a essere una facile etichetta da apporre a qualunque novità musicale emergesse in UK tra il 1992 e il 1996, il britpop è più una specie di “sapore” stranamente trasversale che unisce diverse realtà di quel particolare periodo che, in realtà, avevano in comune solo la capacità di rielaborare in maniera originale gli elementi di varie esperienze musicali precedenti, chi rifacendosi più alla psichedelia dei primi Pink Floyd, chi alle ritmiche forsennate dei Kinks, anche se alcune influenze sono comuni più o meno a tutti gli artisti coinvolti – come gli Smiths o gli Stone Roses, considerati tra i precursori della corrente anche per vicinanza temporale. Quel che ci resta oggi è comunque una nidiata di band che oscillano tra il “grande” e perlomeno il “valido”, tra le quali Blur, Oasis, Pulp e Suede sono state tutte capaci di produrre almeno un disco significativo a testa e qualche canzone ampiamente riuscita sebbene non tutte abbiano avuto la stessa resistenza alla prova del tempo.  Blur e Oasis hanno infatti tenuto un altro passo rispetto alle altre e la loro produzione contiene infiniti più acuti; anche parlando di successo commerciale, le due grandi band rivali hanno fatto decisamente un altro sport. A proposito di successi (anche) commerciali, come si può resistere alla tentazione di chiudere questo articolo con Girls & Boys dei Blur?

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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