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La storia della musica in pillole: Jimmy Iovine, produttore, discografico, visionario - Parte II

«La storia della musica in pillole» è una rubrica fissa in cui ripercorriamo, in una tappa per volta, un momento, un genere, un periodo, un movimento musicale che ha segnato l’evoluzione del pentagramma (e delle nostre vite, in fondo). Senza pretese di esaustività, senza ambizioni accademiche esagerate, questi nostri articoli intendono essere agili Bignami da cui ricavare qualche indizio d’ascolto o un minimo di curiosità per scoprire – o riscoprire – le tantissime sfumature musicali che hanno attraversato il globo dalle origini a oggi.


 Il racconto della gestazione di Born To Run che abbiamo accennato la scorsa settimana meriterebbe non solo un articolo ma addirittura un saggio a parte. Ai fini della nostra parte di storia, quella relativa soprattutto a Jimmy Iovine, ci interessa soprattutto sapere che, durante questo lasso di tempo estremamente travagliato, il cantautore decide anche di interrompere il suo rapporto professionale con il suo primo manager e produttore, Mike Appel. Al suo posto, arriva Jon Landau, critico musicale che lo aveva definito solo pochi mesi prima «il futuro del rock» dopo averlo visto suonare dal vivo ed ex musicista di scarso successo che, comunque, aveva accumulato una discreta esperienza artistica nella seconda metà degli anni 60.

Anche il Record Plant, dove Springsteen e Landau approdano per finire il disco nell’aprile del ‘75, viene coinvolto nel processo creativo del Boss, intenzionato a sfruttare produzione e missaggio al massimo delle loro potenzialità per realizzare esattamente quello che vuole. Peccato che, sin dalle prime sessioni di registrazione dell’album, Springsteen sia molto frustrato perché non gli sembra di riuscire a tradurre su nastro quello che ha in testa quando immagina le canzoni. È lo stesso problema che gli si è presentato fino a quel momento, del resto.

Peter Ames Carlin, uno dei biografi ufficialmente riconosciuti dal Boss, racconta così la registrazione di quel disco: «[Era una situazione] molto tesa ed esigente, super stressante per ogni componente della band ma, comunque, nemmeno lontanamente stressante come essere nella testa di Bruce. Gli era tutto perfettamente chiaro… Sia continuare a vivere il suo sogno, sia venire rispedito a casa sua senza più niente, a eccezione dei debiti. Per questo motivo si uccideva su ogni singola nota, sui silenzi tra le note, ancora e ancora. Sentiva l’estremo bisogno di mettere ogni oncia di sé nel registrare tutto in modo perfettamente giusto, anche perché, dal suo punto di vista, la sua intera vita era in bilico».

Anche il peso sulle spalle di chi manovra le manopole del mixer diventa enorme: il tecnico del suono designato se la dà a gambe dopo qualche giorno di lavoro con Springsteen, durante i quali cui capisce da che parte soffia il vento. Di conseguenza, va sostituito. Landau chiede a Jimmy se se la senta di entrare nel progetto al suo posto. Del tutto incoscientemente, Jimmy accetta e si ritrova a dover scalare una montagna enorme nonostante non sia ancora il più esperto degli alpinisti, per utilizzare una similitudine. Come tecnico del suono è ancora in fase di apprendistato e Springsteen richiede un livello di perfezione ossessivo, dedicato, quasi devoto. Tuttavia, Iovine sale a bordo del “Born To Run studio tour”, un contesto alienante in cui ci si sottopone a turni massacranti in sala d’incisione e non se ne esce mai. Il lavoro è più che ossessionante, è quasi folle: per sua stessa ammissione, il cantautore del New Jersey dedica tre settimane al solo suono della batteria, per individuare quello perfetto per i suoi gusti. «È stato brutale, il tecnico era il capro espiatorio e io non avevo intenzione di mollare finché non avessi trovato il sound giusto», ricorda lo stesso Boss.

Il ritmo è insostenibile e Jimmy si ritrova ad addormentarsi al mixer, di tanto in tanto: «Il caffè non aveva più alcun effetto, la Coca-Cola nemmeno» ricorda il produttore ai microfoni del documentario di Netflix I ribelli. Il disco però viene infine portato a termine: a luglio del ’75 si chiudono i lavori e il mese successivo l’album è sugli scaffali di tutti i negozi di dischi d’America. E naturalmente esplode. «A quel punto, fece il botto: è stata un’esperienza incredibile. Non era una cosa da poco per un ragazzo di ventitré anni, avevo sputato sangue ma ne era valsa la pena» racconta sempre Jimmy. Nonostante il grande successo commerciale, Born To Run diventa anche uno dei dischi più apprezzati della storia della musica rock e pop, nonché uno dei capisaldi imperdibili della sterminata discografia di Bruce Springsteen, inaugurata ormai mezzo secolo fa.

Il ruolo di Iovine all’interno di quell’esperienza consente al giovane tecnico di studio di costruire un rapporto saldo e duraturo proprio con Springsteen, che da lì in poi lo chiama a lavorare su altre sue quindici produzioni successive. Ma il Boss non è l’unica stella di prima grandezza del rock con cui Jimmy si trova a lavorare in quella seconda metà degli anni 70. A credere in lui, nel ’78, arriva Patti Smith e, ancora una volta, il fatidico incontro ha luogo all’interno del Record Plant Studio. La Smith lo ha notato durante la lavorazione di Born To Run e lo vuole a bordo del suo nuovo album ma Iovine è appena stato licenziato dai Foghat e non è molto convinto. Le racconta del fallimento del suo rapporto professionale con i Foghat, del fatto che non era riuscito a produrre il loro nuovo lavoro in maniera efficace. La Smith risponde che non le interessa minimamente cosa gli sia successo fin lì e lo convince a buttarsi nel suo nuovo progetto, l’album che diventerà Easter.

[continua…]

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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