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Dieci anni di Uptown Funk

Parlavamo di Bruno Mars appena qualche giorno fa ed ecco che il cantante statunitense torna d’attualità perché bisogna festeggiare il decimo compleanno di un pezzo fondamentale che, per quanto non sia formalmente suo, è comunque un brano fondamentale del suo repertorio. Ci riferiamo naturalmente ad Uptown Funk che, a suo modo, è stato un piccolo spartiacque all’interno del mondo del pop internazionale, a metà degli anni 2010.

Le ragioni sono essenzialmente due. La prima è che è una canzone riuscitissima e decisamente bella. La seconda è che ha riportato in auge (e ai vertici delle classifiche di tutto il mondo) un genere che sembrava morto e sepolto da tempo immemore. E invece…

Mark Ronson, il vero cervello dietro Uptown Funk

Tutto parte dal genio del produttore e autore britannico Mark Ronson, vero autore del brano, il quale decide di mettere in piedi un brano dai suoni clamorosamente rétro ma capace di risultare molto fresco all’ascolto e ha poi il colpo di genio di farlo interpretare a un Bruno Mars ben instradato verso la superstardom e appena reduce dal successo del suo secondo album di inediti, Unorthodox Jukebox, che gli ha portato cinque singoli di grande rilevanza (e che Ronson, non casualmente, ha prodotto).

Il connubio tra interprete e canzone è perfetto: Mars porta in dote la sua vocalità multisfaccettata e profondamente influenzata dalla tradizione black in tutte le sue sfumature. In sintesi, il cantante di origini (anche) portoricane sembra nato per interpretare Uptown Funk. Ma non è solo la voce del talentuosissimo Bruno a rendere speciale il pezzo perché anche l’arrangiamento – stratificato e brillante – ha tutto al posto giusto. Dai fiati che entrano ed escono dalla canzone a comando e sempre nel modo più opportuno possibile, dai vocalizzi in stile boogie che accompagnano più o meno tutto il pezzo fungendo quasi da struttura di base del brano più ancora degli strumenti in sé, alle percussioni martellanti o al basso slappato in perfetto stile funk.

Le influenze dal passato

Il collage che è di fatto la hit incorpora anche suggestioni prese da altri brani veri e propri, come per esempio All Gold Everything di Trinidad James o Oops Up Side Your Head della Gap Band (di cui tutti gli autori sono stati citati come parte del team compositivo di Uptown Funk). Tuttavia, quella che probabilmente è l’influenza più pesante in assoluto sulla canzone non è menzionata tra gli autori e riguarda proprio la produzione; si tratta, ovviamente di Quincy Jones, il leggendario produttore di Michael Jackson e tantissimi altri. Uptwon Funk deve tantissimo al sound di Jones degli anni 70, al suo approccio alla stratificazione sonora: di fatto, se il pezzo dà quella sensazione di classico dimenticato proveniente da un’altra epoca, beh, è perché è stato lavorato come se fosse un brano di Jones.

Sul versante dell’interpretazione, invece, l’influenza maggiormente riconoscibile è ovviamente quella del grandissimo James Brown, padrino del funk e di tutto ciò che ne è derivato, discomusic compresa.

Al netto dei vari ingredienti – tutti di pregio, come abbiamo visto – però è soprattutto la sensibilità nell’assemblarli di Ronson & Mars che ha funzionato in maniera strepitosa. La certificazione definitiva del fatto che il pezzo abbia quel non so che di straordinario in grado di trasformarlo in un successo internazionale incontenibile (primo posto delle classifiche in diciotto Paesi) è proprio l’apprezzamento globale che ha riconosciuto in giro per il globo che, numeri alla mano, ha saputo trasformare Uptown Funk nel brano di più grande successo dell’intero 2015.

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Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.