La storia della musica in pillole: Jimmy Iovine, produttore, discografico, visionario - Parte V
«Io cerco sempre di andare dove
c’è eccitazione, dove c’è la miglior musica.
Non mi interessa che tipo di musica sia.
Io vado dal miglior artista che possiamo trovare»
- Jimmy Iovine
Dotato di un fiuto incredibile per ciò che funziona in quel momento, a livello musicale, Jimmy Iovine ha appena dato avvio a un nuovo capitolo della sua vita. Un nuovo capitolo che non contempla più il coinvolgimento diretto nella produzione musicale, come ha spiegato lo stesso Iovine ne I ribelli, il documentario di Netflix su di lui e Dr. Dre: «Avevo solo bisogno di fermarmi, non volevo più vedere uno studio. Non ne potevo più. Nel 1989 volevo smettere di produrre dischi, e non stare mai coi miei figli. Ero stufo di stare fuori tutta la notte a lavorare». Completamente prosciugato da quindici anni vissuti alla massima velocità possibile dietro il mixer e provato anche dalle vicissitudini personali attraversate lungo gli anni 80, il cuore italo-americano di Jimmy si libra verso un orizzonte meno artistico e più gestionale: la fondazione di una casa discografica è solo un passo naturale, per lui. Come spiega bene Tom Petty, al di là del talento artistico dell’uomo di Brooklyn c’è anche un’altra ispirazione che lo anima: «Il cuore di Jimmy era nel business. Aveva una vocazione, come chi vuole farsi prete. E la sua vocazione era fare l’uomo d’affari… E così è stato».
Dunque, riprendendo il discorso, siamo alla fase in cui la Interscope Records è appena nata e Jimmy Iovine ne è CEO e presidente: tutto va ancora costruito ma le fondamenta sono a prova di bomba grazie al fatto che dietro c’è la Geffen, il che vuol dire che c’è il supporto della Atlantic Records e quindi, risalendo all’origine della catena, la Warner Bros. Al di là della solidità aziendale, però, se c’è qualcosa che una nuova etichetta ha bisogno, sono gli artisti da mettere sotto contratto. Possibilmente grandi artisti, in maniera tale da avere vendite proporzionalmente grandi. Che siano già affermati o solo potenzialmente grandi, alla Interscope Records interessa poco: il botto che un musicista deve fare è sempre quello imminente, non importano quelli passati. In quest’ottica, la nuova compagnia si distingue immediatamente per avere una chiara locomotiva: il reparto A&R. “A&R” è una sigla diffusa nel settore che sta per artists and repertoire, cioè la divisione aziendale che si occupa di scovare nuovi musicisti e interpreti da mettere sotto contratto. In pratica, sono i talent scout dell’industria discografica. Non solo: la neonata Interscope garantisce a produttori e artisti il totale controllo artistico delle loro creazioni.
Per cominciare nel modo migliore, in quel 1990 ancora magmatico per Jimmy e i suoi nuovi compagni d’arme, serve di sicuro uno squillo iniziale, qualcosa che introduca al meglio la Interscope sulla scena, qualcosa che faccia partire la prima scarica di fuochi d’artificio. Sono gli anni in cui sta esplodendo il grunge, l’hair metal è ancora ben lontano dallo spegnersi e Iovine ha un retroterra personale fatto essenzialmente di rock: tutti si aspettano che metta sotto contratto una qualche nuova star di quel mondo. Invece la Interscope esordisce con Rico Suave di Gerardo, rapper-cantante di origini ecuadoriane che Jimmy scopre per caso, uscendo da una riunione e trovando le segretarie e le impiegate della neonata etichetta completamente rapite dalla televisione, dove sta andando in onda il videoclip di un artista latino-americano dalla folta chioma che ancheggia in maniera suadente e ammiccante.
Scelto immediatamente dal fresco ex produttore newyorkese, Gerardo traccia la rotta di tutta la nuova etichetta, proprio a livello di filosofia: bisogna pensare fuori dagli schemi, trovare i nuovi trend, cercare cose che funzionino senza preoccuparsi di avere una coerenza di genere a livello di etichetta. In pratica, libertà totale, come sintetizza Tom Whalley, dirigente A&R della Interscope, rievocando la sua reazione alla decisione di mettere sotto contratto Gerardo: «Se firmiamo con lui, voglio qualcosa di talmente diverso che tutti dovranno chiedersi cosa stiamo facendo». Subito dopo, coerentemente con la totale assenza di coerenza, arrivano infatti i Primus, una band estremamente particolare che fonde influenze alternative, funk e persino ska all’interno di un’attitudine prevalentemente metal (perlomeno all’epoca). Completamente fuori dagli schemi da qualunque punto di vista li si voglia guardare, i Primus firmano il loro primo, vero contratto discografico con la Interscope anche perché estasiati all’idea di far parte della stessa etichetta di Gerardo.
Subito dopo arrivano Helmet, 4 Non Blondes, Tupac, Mark Wahlberg nella sua prima vita da artista musicale, e i No Doubt (che però non sono ancora quelli di Don't Speak, lontana ancora qualche anno). Memorabile il primo incontro con Gwen Stefani, come ricorda lei stessa: «Jimmy mi prese da parte e mi disse “Tra sei anni sarai una star!”», facendola sprofondare nella più totale incertezza e sorpresa. Dopodiché, Iovine ha preso sotto la sua ala la Stefani e il resto della band, regalando loro un registratore a otto piste e spronandoli a comporre seriamente canzoni. «Ogni volta che gli portavamo un pezzo nuovo, lui reagiva sempre nello stesso modo: “Fatene un’altra, fatene un’altra”» ricorda ancora la biondissima Gwen. Del resto, è il rapporto con gli artisti che a Jimmy riesce più semplice e congeniale: interagire con le alte sfere dell’industria discografica non è qualcosa che Iovine ama fare. «Non mi sentivo a mio agio, con i dirigenti. Mi sentivo a mio agio con gli artisti e i produttori musicali, perché loro sanno come trarre il meglio dagli artisti. Poi ho trovato la mia dimensione: prima individuo dei grandi produttori, quindi produco loro!».
Il nuovo mantra viene subito messo alla prova dalla prima, enorme, missione impossibile della nuova vita di Jimmy da dirigente discografico: mettere sotto contratto una band che ha già un contratto con qualcun altro. Si tratta dei Nine Inch Nails, una nuova sensazione del movimento underground e industrial che l’ex produttore italoamericano vuole per la sua nuova etichetta ma disgraziatamente ancora parte integrante della TVT. Steve Berman, vicepresidente della Interscope, ricorda: «Ogni giorno si parlava dei NIN ma non era solo una band sul mercato che tutti volevano avere, avevano già un contratto. Solo che loro odiavano la loro etichetta. E questa non rendeva la vita facile a nessuno. Tutti sapevano che volevano andarsene ma la TVT li aveva ingaggiati per sette album». Iovine è ammirato da Trent Reznor, deus ex machina dei Nine Inch Nails, autore completo e versato persino nella produzione, e lo vuole disperatamente con sé. Il punto è uno solo: come liberarlo dal vincolo con la TVT?