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La storia della musica in pillole: la separazione tra i Pink Floyd e Syd Barrett, parte II

«La storia della musica in pillole» è una rubrica fissa in cui ripercorriamo, in una tappa per volta, un momento, un genere, un periodo, un movimento musicale che ha segnato l’evoluzione del pentagramma (e delle nostre vite, in fondo). Senza pretese di esaustività, senza ambizioni accademiche esagerate, questi nostri articoli intendono essere agili Bignami da cui ricavare qualche indizio d’ascolto o un minimo di curiosità per scoprire – o riscoprire – le tantissime sfumature musicali che hanno attraversato il globo dalle origini a oggi.


 Come si diceva la scorsa settimana, a tutt’oggi non è chiaro cosa sia accaduto di preciso a Syd Barrett. È ampiamente confermato da tanti testimoni dell’epoca che nel suo crollo psichico abbia avuto un ruolo l’abuso di sostanze psicotrope mentre una folta coltre di dubbio e di incertezza avvolge l’ipotesi che il povero artista abbia anche sofferto di una qualche patologia psichiatrica o neurologica. Quel che invece resta agli annali sono gli ultimi, disastrosi mesi della sua esperienza con i Pink Floyd, da parte sua trascorsi denunciando un comportamento via via sempre più strano.

Dapprima, Syd rifiuta di tornare a Pop of the Pops per una terza esibizione sulle note di See Emily Play già in programma da mesi, dopodiché si trova a boicottare un gran numero di concerti. Spesso non si presenta nemmeno dove il gruppo deve suonare ma è anche vero che, quando c’è, il risultato è talvolta persino peggiore: non si contano le performance del periodo in cui resta in stato catatonico per tutto il tempo senza fare nulla, suona un’unica nota per tutta la durata del concerto o di fatto sabota l’esibizione scordando molto lentamente la sua chitarra mentre i suoi sodali si danno da fare per dare un senso alla scaletta. I compagni, del resto, non sono di umore migliore: i Floyd stanno finalmente ottenendo un’oncia di successo e gli altri tre membri del gruppo non vedono l’ora di premere sull’acceleratore e andare avanti lungo la strada della gloria, motivo per cui non vedono l’ora di risolvere la situazione e, nell’attesa, cercare di far buon viso a cattivo gioco.

A periodi peggiori si alternano momenti in cui Barrett è più presente a sé stesso e ricorda più da vicino ciò che era prima del collasso: l’ottobre del 1967 è un buon momento per lui e tutti ne approfittano per organizzare una nuova sessione di incisione, durante la quale viene messa su nastro anche Jugband Blues, l’unico brano di Syd che finirà poi nel secondo album dei Pink Floyd, A Saucerful of Secrets. Questo momento arriva subito dopo una fallimentare vacanza a Formentera, originariamente intesa come pausa rigenerante dal tran-tran quotidiano e finita per essere un’esperienza ancora più stressante per il povero Barrett. Dopo essere rientrata in patria, aver migliorato il suo umore e aver "normalizzato" la sua condotta, in condizioni apparentemente accettabili la voce dei Pink Floyd viene poi imbarcata col resto del gruppo per il primo tour americano della band.

L’esperienza viene drasticamente ridotta della metà nel momento in cui appare chiaro che Syd non è affatto in uno stato decoroso: è assente, disinteressato, poco presente a sé stesso e - soprattutto - ingestibile durante i live. Dopo aver onorato tutti gli impegni sulla costa ovest, le date sulla costa est vengono cancellate in blocco e i Floyd rientrano di corsa in Europa, per aggregarsi al tour inglese di Jimi Hendrix. Dovendo rinunciare alla seconda metà del tour negli USA, il gruppo conviene che bisogna perlomeno continuare l'attività dal vivo nel Vecchio continente e l'opportunità di condividere il palco con Hendrix appare a tutti irrinunciabile. A tutti meno a che a Syd Barrett, naturalmente, il quale continua a essere drammaticamente altrove. Nick Mason, il batterista, ricorda che lui, Waters e Wright continuavano comunque a mal valutare la situazione del loro cantante e amico: «Se c’era bisogno di una prova del fatto che ci sbagliavamo riguardo allo stato mentale di Syd era questa. Il fatto di aver pensato che un volo transatlantico, seguito immediatamente da più impegni ancora, potesse aiutarlo è incredibile».

Nonostante sia il motore creativo del gruppo, Barrett è sempre più difficile da gestire per i suoi compagni o il management e, verso la fine del 1967, la situazione è già fin troppo critica. Per risolvere il problema della totale inaffidabilità del loro leader, gli altri Pink Floyd decidono di supportarlo con l’ingresso di un nuovo membro che possa sostituirlo nel cantare e nel suonare la chitarra. Inizialmente, l’ingresso di David Gilmour all’interno della band non è altro che una sorta di sostegno per Syd che, però, indispettisce Barrett, il quale soffre la presenza di quello che in realtà sarebbe un suo vecchio amico d’infanzia, prima di tutto. Di fatto, dopo l’ingresso di Gilmour, le cose precipitano in fretta e già nel gennaio 1968 Barrett fa registrare la sua ultima uscita pubblica con la band.

È diventato celebre l’aneddoto che racconta il momento esatto in cui i Floyd hanno scientemente deciso di rinunciare ad avere Syd sul palco ed è stato raccontato – non senza vergogna – sia da Gilmour, sia da Mason. Nel febbraio del ’68, la band si imbarca sul classico furgone stracarico di attrezzatura per andare a suonare a Southampton: quando sono tutti a bordo e manca solo Syd, l’autista chiede se ci sia bisogno di andarlo a prendere. «No, lasciamolo perdere» fu la risposta. Nessuno ha mai detto chiaramente chi abbia pronunciato queste parole ma tutti i testimoni concordano che fossero proprio quelle.

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La storia della musica in pillole: la separazione tra i Pink Floyd e Syd Barrett, parte I

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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