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La storia della musica in pillole: la separazione tra i Pink Floyd e Syd Barrett, parte III

«La storia della musica in pillole» è una rubrica fissa in cui ripercorriamo, in una tappa per volta, un momento, un genere, un periodo, un movimento musicale che ha segnato l’evoluzione del pentagramma (e delle nostre vite, in fondo). Senza pretese di esaustività, senza ambizioni accademiche esagerate, questi nostri articoli intendono essere agili Bignami da cui ricavare qualche indizio d’ascolto o un minimo di curiosità per scoprire – o riscoprire – le tantissime sfumature musicali che hanno attraversato il globo dalle origini a oggi.

La soluzione che i Floyd e il management trovano e che dovrebbe risolvere il problema della totale inaffidabilità del cantante (di cui abbiamo raccontato i dettagli qui) prevede che Syd resti nel complesso come principale autore dei pezzi senza però mai esibirsi col gruppo dal vivo, dovere che invece si assume Gilmour al suo posto. In pratica, è un tentativo di replicare quel che hanno fatto i Beach Boys con Bryan Wilson dall’altra parte dell’oceano. Il nuovo paradigma finisce presto a sud con un fallimentare tentativo di registrare un nuovo brano dal titolo Have You Got It Yet?, durante il quale l’ormai ex leader del gruppo cambia in continuazione l’arrangiamento del pezzo per impedire ai suoi compagni di impararlo, lamentandosi in continuazione del fatto che loro non capiscano le sue indicazioni. Roger Waters ha raccontato che, nel momento stesso in cui ha capito che Barrett li stava prendendo letteralmente in giro, ha lasciato il basso sul pavimento dello studio ed è uscito dalla sala di registrazione.

Pochi mesi dopo, viene ufficializzato il suo addio al gruppo: è l’8 aprile del ‘68. Per dare un’idea della grandezza dell’evento e dell’importanza di Barrett all’interno dei Floyd, basta citare gli articoli che appaiono in quel momento sul Melody Maker, in cui si dà quasi per scontato che il gruppo si sciolga a causa dell’abbandono del cantante/compositore principale. La società che gestisce la band in qualità di management, la Blackhill, lascia il gruppo per continuare a seguire Syd, considerato il vero artefice dei successi raggiunti fin lì dai Pink Floyd. La nascente carriera solista dell’artista di Cambridge sembra in quel momento ben più promettente del prosieguo dell’attività dei suoi freschi ex compagni ai due manager della Blackhill che, peraltro, parzialmente ignorano che anche tutti gli altri membri del gruppo scrivono canzoni (lo racconta il solito Nick Mason nella sua autobiografia, Inside Out).

La carriera solista di Barrett non comincia all’indomani della sua fuoriuscita dal complesso. Mick Rock, fotografo e suo amico personale fin dall’infanzia, ricorda che Syd abbia abbandonato piuttosto presto il primo tentativo di fargli registrare del materiale per il suo primo, nuovo disco solista. Di fatto, i testimoni dell’epoca concordano nell’affermare che l’artista si sia reso irreperibile per quasi un anno, durante il quale non è chiaro cos’abbia combinato (risulta solo un breve ricovero all’ospedale di Cambridge, secondo quanto ricostruito dal giornalista Shane Gladstone). Sempre Rock racconta: «Quello di Syd era una sorta di esaurimento perché non voleva comunicare con nessuno e non si è fatto più sentire con tantissimi dei suoi amici».

Nel 1969, il cantautore di Cambridge rientra finalmente in studio per sua stessa iniziativa: le sessioni di registrazione cominciano bene ma ben presto si arenano. Paradossalmente, viene chiamato per dargli una mano a incidere materiale ascoltabile proprio David Gilmour, che aiuta l’amico a dar forma alle sue creazioni. O, quanto meno, a dar loro una veste che ricordi il più possibile una forma compiuta. Riappare in sala d'incisione anche Roger Waters, per dare una mano dal lato produttivo. Gilmour ricorda: «Le sessioni erano piuttosto tortuose e molto affrettate. Avevamo pochissimo tempo […] Syd faceva il difficile, parecchio, e noi ci sentivamo molto frustrati, una cosa tipo: “Guarda, amico, è la tua carriera […] Perché non ci metti mano seriamente e combini qualcosa?”. Lui era nei davvero nei guai ma era stato un caro amico per così tanti anni che era veramente il minimo che si potesse fare per lui». Da questo processo intricato e quasi folle emerge The Madcap Laughs, il primo album solista di Barrett, che esce il 3 gennaio del 1970 e raccoglie materiali incisi tra il maggio del 1968 e gli ultimi mesi del ‘69. Più o meno metà dei brani è prodotta da David Gilmour e Roger Waters, l’altra viene curata da Malcolm Jones, discografico della EMI, che avrà molto da ridire sul lavoro di Gilmour e Waters dopo la release presso il pubblico. Seppur apprezzato dalla critica (che ancora oggi si esprime positivamente a riguardo), il disco riscuote solo un lieve successo commerciale nelle settimane immediatamente successive alla pubblicazione. Inoltre, le condizioni dell’ex frontman dei Floyd non gli consentono di avere una grande attività live di supporto al disco: Barrett dà un unico concerto promozionale, il 6 giugno del 1970 al Kensington Olympia.

In quello stesso periodo, tra la primavera e l’estate del ’70, Syd registra il suo second album solista, intitolato semplicemente Barrett. Stavolta non c’è un vero produttore nemmeno per metà delle tracce come nel disco precedente e sono Gilmour, di nuovo, e Rick Wright a cercare di aiutarlo con il processo di incisione. Le sessioni sono ancora più confuse e intricate di The Madcap Laughs, cercare di portare Syd a mettere insieme cose con un senso è persino più complicato che nell’esperienza precedente. Come racconta Wright: «Fare il disco di Syd è stato interessante ma estremamente difficile […] allora si trattava semplicemente di aiutarlo in tutti i modi che potevamo, più che preoccuparci di trovare il miglior suono possibile per la chitarra. Bisognava dimenticarselo, altroché! Alla fine, era semplicemente andare in studio e provare a farlo cantare». Jerry Shirley, batterista chiamato a incidere le parti delle percussioni, ricorda che le istruzioni del cantautore agli altri musicisti che lo accompagnavano erano spesso di complessa interpretazione: «Forse potremmo fare la parte centrale un po’ più scura e magari quella finale più in stile metà pomeriggio. Al momento è troppo ventosa e ghiacciata». Barrett esce a novembre del ‘70: il parere della critica è positivo ma comunque meno convinto rispetto al disco precedente e, a livello commerciale, passa del tutto inosservato, complice il totale rifiuto di Syd di suonare dal vivo.

Della sua esperienza solista e dei suoi due album, Barrett dirà: «[I due dischi] Dovevano raggiungere un certo standard e questo è stato fatto una o due volte in Madcap e solo un pochino nell’altro – solo un’eco di quello standard. Nessuno dei due è più di questo». Poco più tardi, il cantautore si ritira a Cambridge, sua città natale, e di fatto si ritira dal mondo della musica per condurre una vita riparata e dedicarsi alla pittura, di tanto in tanto.

Ciò che è successo dopo al gruppo, invece, è parte integrante della mitologia dei Pink Floyd. Dopo l'addio di Barrett, i Floyd sono diventati uno dei complessi rock più noti e importanti della storia e hanno costruito parte del proprio mito anche grazie alla continua fonte d’ispirazione che il fantasma di Syd è paradossalmente stato. La sua assenza, il senso di colpa mai metabolizzato che ne derivava e il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato sono stati una benzina eccellente per il motore creativo del gruppo, costantemente perseguitato dallo spettro del primo leader. The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here e The Wall sono solo i tre esempi più facili di riferimenti a Barrett che si possono estrarre dal repertorio dei Floyd e che lo hanno consegnato alla leggenda per sempre. Pur in maniera paradossale.

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Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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