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Passioni dal passato: il pop-punk

Rubrica saltuaria a cadenza irregolare in cui ci divertiamo a riprendere tendenze passate del mondo della musica e sonorità che, oggi, ci sembrano incredibilmente sorpassate e quasi dimenticate. Almeno finché non verranno massicciamente riprese per fare il trend del futuro, ovviamente.

A metà degli anni 90, esplode a livello commerciale una nuova generazione di gruppi musicali americani che si rifanno all’estetica e all’attitudine punk degli anni 70, riaggiornando la musica al gusto di fine millennio. Alcuni di questi artisti, quelli che godono del maggior riscontro mainstream a livello di fama e di successo commerciale, vengono definiti “pop-punk” dalla critica e si trovano a vivere un destino molto particolare: adorati da folle oceaniche che accorrono ai loro concerti e comprano tutti i loro dischi, odiati dai militanti più duri e puri del mondo punk, snobbati da gran parte della critica musicale colta. Realtà come Green Day, Blink-182, OffspringNew Found Glory, Sum 41 e tanti altri hanno infiammato il dibattito rock per tanti anni, a cavallo del 2000.

Per capire l’interesse e l’humus cultural-musicale in cui queste band sono vissute, è però necessario fare un po’ di storia e riavvolgere il nastro di quasi cinquant’anni.

Com’è noto, il primo punk rock nasce intorno alla metà degli anni 70 e la sua prima, corrosiva esplosione ha un ciclo vitale brevissimo, che si esaurisce nel giro di tre, forse quattro anni (a essere generosi). Si tratta di un genere che, a livello musicale, nasce grazie al tipico rimpallo rock tra USA e Regno Unito post 1945 ma, a livello estetico, stilistico e di attitudine, si codifica come movimento giovanile soprattutto nella vecchia Inghilterra. Già nel 1980 il punk è sostanzialmente finito, a livello musicale: si volta pagina e prendono piede la musica elettronica, il post-punk, la musica goth e tante altre tendenze ancora.

Dunque il punk è morto più di quarant’anni fa? In realtà no. Se in Inghilterra la sua carica eversiva e musicale si è trasformata quasi subito in altro, negli USA ha invece continuato a scorrere a livello carsico nel mondo underground, ritagliandosi un pubblico di nicchia, contenuto nei numeri ma appassionatissimo, lontanissimo dal pop, dalle classifiche, dalle radio e dalle neonate tv musicali. Almeno finché non è arrivato il grunge.

Lo abbiamo scritto più e più volte ma ogniqualvolta si riaffrontino gli anni 90 in rock, tocca ribadirlo ancora una volta: il grunge ha cambiato le carte in tavola in maniera irreversibile e, per quanto sia durato poco (esattamente come il primo punk), ha comunque rivitalizzato la scena rock mainstream americana. Il 1994 è l’anno chiave: muore Kurt Cobain e, con lui, il grunge ma esce tutta una serie di dischi capace di affermarsi a livello commerciale – talvolta anche su scala globale, con proporzioni da fenomeno pop – che rilancia alla grande il punk. Stranger than Fiction dei Bad Religion, Dookie dei Green Day, Smash degli Offspring, Let’s Go dei Rancid e Punk in Drublic dei NoFX sono tutti dischi che, ognuno a suo modo, ottengono un’eco enorme e tuttora sono considerati capisaldi del punk americano e, talvolta, anche i migliori lavori in assoluti di alcune di queste realtà. C’è chi prende dal surf anni 60, chi dal cantautorato americano anni 70 o addirittura dal southern rock, chi lo ibrida con elementi metal o chi gioca con reggae e ska. Alla semplicità tipica del genere, spesso viene unito un certo gusto per la melodia.

Green Day e Offspring, in particolare, vengono particolarmente spinti dalle televisioni musicali commerciali e il loro successo tracima in ambito mainstream, rendendoli band celebri su scala globale. Più violenti, iconoclasti e aggressivi gli Offspring, più ricercati, legati al rock rétro americano e sarcastici i Green Day: è soprattutto per loro che viene coniato il termine pop-punk, con quel “pop-“ davanti, che serve in parte a indicarne il consenso generalizzato, in parte a dire che quella musica non è comunque eversiva come potevano essere i Sex Pistols vent’anni prima. Anche i suoni e le voci sono tutto sommato più educati e curati, la produzione è di alto profilo, non più raffazzonata ma sincera come l’etica punk integralista vorrebbe. Pochi anni dopo, arrivano al successo anche i Blink-182, anch’essi californiani e probabilmente gli artisti più apertamente pop del filone, grazie al loro stile compositivo pesantemente influenzato dal post-punk anni 80 e, soprattutto, dal surf anni 60.

A fine anni 90, il rock mainstream a livello globale è una sfida tra gli alfieri del numetal, di cui abbiamo parlato abbondantemente, e quelli del pop-punk, con spruzzate di alternative rock (prevalentemente post grunge) qua e là. Il genere va fortissimo nelle classifiche e ben presto sembra che sia una matrice in grado di generare in continuazione artisti nuovi, specialmente negli USA. Gli ingredienti sono sempre quelli: ritornelli orecchiabili, affinità col mondo dello skateboard, capelli ipercolorati, estetica surf, riff di chitarra veloci ed energici, ritmi incalzanti e battute pungenti, il tutto innaffiato da dosi enormi di irriverenza adolescenziale, barzellette di gusto pecoreccio e voglia di divertirsi a oltranza.

Ai tre “apripista” di cui sopra, ogni anno si aggiungono nuove band finché l’etichetta non viene appiccicata a una cantautrice soft rock come Avril Lavigne, che effettivamente viene lanciata con una forte estetica skater-punk (che, a essere onesti, porta avanti tuttora, dopo vent’anni di onorata carriera), e addirittura a una ex cantante R’n’B che scopre la chitarra elettrica come Pink, che col punk ha veramente pochissimo a che fare.

Nel corso dei primi anni 2000 il genere sembra perdere gradualmente ma incessantemente terreno sul pubblico di massa, pur assistendo – come si diceva poc’anzi – al continuo fiorire di nuovi artisti in grado di fare comparsate in classifica. L’ultima fiammata a livello mainstream è firmata Green Day: nel 2004, il trio californiano dà alle stampe American Idiot che si rivela essere uno dei maggiori successi rock del decennio e riporta in auge il punk in generale ma è solo il canto del cigno. Lo stesso look della band, più scuro, cupo, con abbondanti dosi di matita nera sugli occhi e decisamente più dark, nel complesso, sembra in qualche modo prefigurare la svolta emo che arriverà di lì a poco e soppianterà integralmente il pop-punk nel giro di un amen. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia… e l’abbiamo già anche raccontata.

Autore: Giorgio Crico

Milanese doc, sposato con Alice, giornalista ma non del tutto per colpa sua. Appassionato di musica e abile scordatore di bassi e chitarre. ascolta e viene incuriosito da tutto nonostante un passato da integralista del rock più ruvido.

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