Skip to main content

“Ascolti il mio consiglio Dottor Fiamma: suo figlio ha le doti e il talento naturale per fare il musicista”.
“Fu quella telefonata di Giulio Rapetti, in arte Mogol, a convincere mio padre che potevo rinunciare a un lavoro stabile e sicuro per dedicare la mia vita alla chitarra. Ti confesso che io lo sentivo che quello sarebbe stato il mio futuro, quando a dodici anni zio Guido, marito di una delle sorelle di mio padre, mi mise in mano la chitarra, la magia di quel suono mi rapì, c’era qualcosa dentro di me e dentro quello strumento che mi suggerì la simbiosi che mi porto dietro da allora".

Antonello Fiamma, andamento ondivago, aria distratta, capello riccio con ciuffo alla Elvis Presley, residuo di una capigliatura giovanile ancora più ricciolosa alla Brian May dei Queen, mago della chitarra acustica, insegnante a Cluster, (la stimata scuola di Musica creata e diretta da Vicky Schaetzinger), coordinatore dell’attività didattica per ciò che riguarda la certificazione presso il Trinity College e il Diploma Cluster,  con il sorriso sulla labbra torna volentieri sul suo passato, nella sua Matera. “Da quando è diventata capitale della cultura è cambiata, è invasa dai turisti ma è sempre spettacolare, se non l’hai mai visitata, fai un viaggetto ne vale la pena, i famosi sassi di Matera sono una cosa unica”.

In apparenza non c’è traccia di musicisti nella tua famiglia d’origine. Come nasce questa sfrenata passione per la chitarra acustica per di più solista?
In genere i giovani quando si avvicinano alla chitarra pensano subito a una band e ai grandi concerti, ai mega palchi, alle migliaia di fans.

È vero, a uno sguardo superficiale nella mia famiglia la musica non è entrata nelle vene come è accaduto a me.
Mio padre, Pino, è un dermatologo mentre mia madre, Daniela, è un insegnante di inglese. In realtà a voler essere sincero se scavo nei ricordi fino ai miei nonni trovo una grande passione per la musica lirica, loro si spostavano da una parte all’altra dell’Italia per ascoltare nei grandi teatri la lirica. Se poi do uno sguardo alla parentela allargata scopro un personaggio a cui devo l’incontro astrale con la chitarra: zio Guido, marito di una delle sorelle di mio padre. Lui faceva il direttore di banca ma per diletto suonava musica italiana con la chitarra e si divertiva tantissimo. Ricordo ancora l’attacco di chitarra del Ragazzo della via Gluck. La musica era nelle corde della famiglia di zio Guido, sua figlia, Anna Maria Sarra, soprano, è diventata una cantante lirica di successo mentre le sorelle di mio padre insegnano pianoforte classico. Come ti dicevo è lui che mi ha messo in mano la chitarra all'età di 12 anni. Noi andavamo a trovarlo occasionalmente e tutte le volte che ci incontravamo lui provava a farmi strimpellare qualcosa, sembrava che lui sentisse l’esistenza in nuce di una passione che di lì a poco sarebbe esplosa.

Già esplosa come un grande amore, come qualcosa di intimo. Antonello parla della chitarra come di qualcosa che gli appartiene fisicamente, non è un caso forse che sia un amante del fingerstyle.


Ti ricordi quando hai intuito che quella poteva essere la tua strada?

Antonello sorride, non credeva di dover scavare così a fondo nei suoi ricordi ma la cosa non gli dispiace.

Eravamo in famiglia, in tv stavano trasmettendo il Festivalbar, quando l’inquadratura riprese Massimo Varini, chitarrista elettrico e arrangiatore. Io d’istinto dissi a mio padre: ‘Papà è quella che voglio suonare’. Cominciai a prendere lezioni private e poi decisi di iscrivermi al Conservatorio al corso decennale di chitarra classica. Mi hai chiesto chi fu il musicista in Conservatorio che plasmò la mia passione artistica e tecnica. Di insegnanti ne ho avuti tanti ma devo dire che Clemente Giusto fu per me un maestro. Al mio primo incontro lui si mise al pianoforte e mi chiese di intonare a voce i pezzi che suonava. Alla fine dell'incontro mi diede il benvenuto nella sua classe. Alla mattina andavo a scuola e il pomeriggio frequentavo il Conservatorio. Nel tempo libero si suonava con l’amico Giulio in una tavernetta.

Che tipo di chitarrista sei? A quale stile fai riferimento?

Come ti raccontavo la mia specialità è il fingerstyle, uno stile appunto che permette di sfruttare le possibilità polifoniche della chitarra molto meglio rispetto alla tipica tecnica col plettro. Una tecnica che ho scoperto a 17 anni grazie a un amico, Gregorio, che oggi cura le composizioni di Achille Lauro. Il precursore di questo stile, che io adoro perché hai la sensazione di suonare tre chitarre contemporaneamente, si chiama Chet Atkins, una leggenda. Il suo allievo prediletto è Tommy Emmanuel. Due talentuosi geni delle sei corde che mi hanno conquistato e hanno fatto crescere in me il fascino del solista.

Antonello Fiamma 1 low fi


E lo scetticismo iniziale di tuo padre che fine ha fatto? Mi raccontavi della telefonata di Mogol.

Sì, Giulio Rapetti ha una scuola di musica che si chiama Cet. Attorno al 2009 pubblicò dei bandi di concorso in Basilicata come in altre regioni d’Italia per lo studio della composizione. Arrivai primo e allora Giulio Rapetti riuscì a parlare con mio padre e sciolse ogni suo scetticismo. Per me è stato un passaggio importante quello della composizione. Per questo devo ringraziare il maestro Giuseppe Barbera. Un musicista talentuoso e capace di usare la maieutica in modo straordinario.

Che rapporto hai con il successo? Mi risulta che molti artisti si siano bruciati rapidamente perché hanno pensato più al successo che alla produzione artistica.

Devo dire francamente che io ho un rapporto molto rilassato con il successo, altrimenti non avrei fatto il solista. Tra il 2014 e il 2017 ho pubblicato due album di chitarra con la tecnica Fingerstyle, (The round path e Imperfections) e uno cantautorale (Indelebile, 2021), ma quando pensavo al live non ho mai chiuso gli occhi immaginandomi sul palco. Mi immaginavo di fare quello che ho fatto: suonare per un pubblico popolare nei bar, nelle feste di paese, tra la gente, senza rinunciare al grande pubblico dei festival come avvenne a Cagliari o a Matera o in tante altre città in quegli anni.

Antonello Fiamma 3 low fi


E poi è arrivato l’insegnamento quando sei sbarcato a Milano. Un’altra svolta immagino.

Certo, una svolta importante, avevo voglia e avevo i titoli per trasmettere le mie conoscenze ai più giovani o a chi voleva avvicinarsi alla chitarra. Per fare questo avevo studiato anche la chitarra elettrica, tanto cara a molti giovani. Il primo incontro in Cluster fu con Massimo Dall’Omo, grande chitarrista e coordinatore del dipartimento di chitarra. Poi l’incontro con Vicky, indimenticabile. Mi presentai con i capelli lunghi e ricci alla Brian May. Mi colpì la sua capacità intuitiva. La sua velocità. Poche domande ma ben dosate tra musica e attitudini personali. In breve tempo decise che potevo fare il mio ingresso in Cluster. Solo più tardi capii che quella sua capacità di intuire chi aveva di fronte a sé pur senza conoscerlo derivava dalla sua doppia anima di artista e imprenditrice, una convivenza molto rara.

 

Concludiamo questa conversazione con un'immagine: se tu un giorno avessi un figlio e gli volessi indicare la strada della musica che cosa gli diresti?

Intanto gli consiglierei un percorso musicale soltanto se in lui o in lei ci fosse un desiderio, una passione innata, una volontà in quella direzione. Poi, cosa fondamentale a mio avviso, gli consiglierei di unire la disciplina allo studio e al divertimento. Aggiungerei che non è l’accumulo di titoli che contraddistingue un musicista, ma essere in grado di muoversi con sicurezza in tutti gli ambiti della sua attività musicale.