Attilio Zanchi è un nuovo insegnante di Cluster: potete leggere qui una sua breve biografia. Insigne jazzista milanese in attività fin dagli anni 70 e contrabbassista molto noto, Attilio ha insegnato musica per oltre quarant’anni. Arriva a Cluster per tenere tre corsi: Tecnica d’improvvisazione, Guida all’ascolto: jazz e Musica d’insieme. Per conoscerlo un po’ meglio, ha gentilmente acconsentito a fare quattro chiacchiere in esclusiva con noi, per permetterci di entrare un po’ nel suo mondo, parlare della sua storia, della sua enorme competenza musicale e della passione bruciante che ancora lo anima tanto per le sette note, quanto per l’insegnamento. Buona lettura!
Attilio, innanzi tutto teniamo a ringraziarla per il tempo che ci ha concesso e per l’opportunità che ci sta dando di conoscerla meglio.
Prego… ma diamoci pure del tu.
A tuo rischio e pericolo! Allora, entriamo nel vivo della nostra intervista e cominciamo dalle basi che più basi non si può: quando hai scoperto la musica? Quando te ne sei innamorato?
Ma guarda, io sono stato attirato dalla musica fin da piccolino, fin dalle classiche lezioni di musica delle elementari. Dopodiché ho iniziato a suonare in giro che ero già abbastanza giovane, considera che a quattordici anni già suonavo in giro per quelli che erano i locali di allora, le sale da ballo, in un gruppo con mio cugino. Suonavo il basso elettrico. Da lì poi è iniziata tutta la mia lunga carriera. E quando abbiamo iniziato col gruppo, a quei tempi, come dicevo, si suonava nelle sale da ballo però la cosa divertente era che potevamo scegliere noi il repertorio e cosa suonare. Suonavamo i brani dell’hit parade di allora – erano gli anni 70 – e facevamo quel che volevamo noi, in pratica, a parte l’obbligo di suonare ogni tanto anche dei valzer e dei tango, alternandoli. Quindi noi facevamo cose tipo Jimi Hendrix, addirittura, canzoni così, facevamo un po’ di tutto.
Dopodiché ho iniziato a lavorare in giro con vari gruppi, suonando e facendo esperienze in tutta Italia finché, a un certo punto, ho deciso di studiare la musica seriamente e mi sono iscritto al corso di contrabbasso della scuola civica di Milano. Da lì, poi, mi sono appassionato al jazz e poi ho avuto la fortuna di conoscere, durante un concerto a Milano, Dave Holland, che era il bassista di Miles Davis. Eravamo lì con altri tre contrabbassisti e gli abbiamo chiesto, in caso fosse stato in città anche il giorno dopo, se poteva darci una lezione… E lui ha accettato. Il giorno dopo ha tenuto per noi quella lezione e poi, da lì, sono rimasto in contatto con lui. In seguito, mi ha fatto avere una borsa di studio per studiare in Canada e in America, a Woodstock, dove teneva delle masterclass.
E quindi ho avuto questa grande opportunità di andare a studiare con lui in America e con altri tanti altri grandi musicisti che si alternavano in questi workshop. Dopodiché sono tornato a Milano e ho cominciato a suonare con il quartetto di Franco D’Andrea, che è uno dei più famosi pianisti italiani, e contemporaneamente anche con Paolo Fresu, con il quale ancora suono ancora, tutt'ora, con una formazione sostanzialmente nata negli anni 80 e che è in attività ormai da quarant'anni, con la quale facciamo ancora oggi dei concerti insieme.
Quanto è importante, secondo te, avere una formazione musicale tradizionale, scolastica (in senso lato), che vada di pari passo alla possibilità di suonare in pubblico, esibirsi e fare la cosiddetta gavetta, per diventare un musicista completo?
Beh, per diventare un musicista completo serve senz’altro! Imparare la teoria musicale e a leggere la musica senz'altro sono cose che servono, se ci si vuole costruire una carriera a un certo livello e, magari, anche durare nel tempo. Io ho scritto diversi metodi didattici per basso e contrabbasso; mentre li scrivevo, ho sempre imparato delle cose nuove e quel che non sapevo me lo andavo a cercare. Ho sempre studiato su ogni genere di manuale e mi sono studiato la parte teorica e armonica da solo, per così dire, ma sempre consultando tantissimi metodi.
Tornando dall'America, ho avuto l'idea di aprire Birdland – che è una libreria musicale che esiste tuttora – perché a New York ho avuto modo di interessarmi tantissimo all’aspetto didattico, appunto, notando come ci fossero migliaia di metodi a disposizione mentre, in Italia, non esisteva quasi niente di simile. Erano gli anni 80 e non c’erano molte strade per procurarsi materiale didattico, da qui l’idea di aprire la libreria. Diciamo mi sono istruito da solo ma con il fondamentale aiuto di tutti questi metodi che ho selezionato, provato e studiato.
Tra tutti i vari generi che hai potuto frequentare, suonando fin da giovanissima età, alla fine, hai scelto di dedicarti principalmente al jazz. Dunque la domanda sorge spontanea: perché il jazz? Che cos’ha, secondo te, il jazz che gli altri generi non hanno?
Il jazz è una musica che non è ripetitiva. Ti dà molta libertà d’interpretazione e anche di interazione con gli altri musicisti, quindi diventa una creazione estemporanea. Mentre si suona, puoi inventarti delle cose e coinvolgere gli altri musicisti che partecipano alla tua sessione: il tutto diventa una specie di improvvisazione collettiva.
Questa libertà è la cosa che mi ha appassionato di più… e, fra l'altro, il primo concerto a cui ho avuto la fortuna di assistere è stato il concerto di Miles Davis a Milano, al Conservatorio, negli anni 70, ed è stato una vera folgorazione, per me. Al pianoforte c’era pure Keith Jarrett, per inciso. Da allora ho deciso di appassionarmi al jazz e di studiarlo seriamente.
Tra tutte le varie opzioni che avevi, quest’anno hai scelto di insegnare con noi, a Cluster. Come mai hai scelto proprio Cluster? Cosa ti ha colpito, in particolare, della scuola?
Per tanti anni, credo più di quindici, ho fatto il professore di musica, a Milano. Dopodiché sono passato a insegnare jazz nei conservatori, rimanendoci oltre vent’anni. Adesso che ho finito la carriera didattica nei conservatori, ho pensato di aprire un nuovo capitolo della mia vita ma sempre continuando a trasmettere ai giovani tutte le cose che ho appreso nel corso della mia carriera.
Ho trovato in Cluster e nella direttrice Vicky una realtà molto interessata a tutti gli aspetti che mi stanno più a cuore… e poi e so che ci sono anche alcuni miei ex allievi del Conservatorio che insegnano qui, con i quali vogliamo organizzarci per mettere in piedi un gruppo di docenti che porti avanti il discorso jazzistico, accanto all’offerta di corsi pop che sono già presenti e funzionano benissimo.
Tra i tre corsi che invece terrai (e che ti prego di ricordare anche in questa sede) ce n'è uno in particolare che non vedi l’ora di iniziare?
Tra i miei tre corsi in partenza – che sono Tecnica d’improvvisazione, Guida all’ascolto: jazz e Musica d’insieme – ti direi proprio Musica d'insieme. In un certo senso, è il corso che mi coinvolge di più non perché gli altri non mi piacciano, anzi, ma perché mi piace particolarmente sentire suonare i giovani, percepire la loro crescita musicale ed essere nella posizione di potergli dare tutte le informazioni possibili per farli suonare bene assieme.
Devo dire che è anche un corso impegnativo perché ai ragazzi è richiesto qualcosa che è tutto meno che facile ma ho preparato tantissimo materiale in tutti questi anni e quindi potrò fornire loro tantissimi strumenti utili. Musica d’insieme è anche strettamente collegato al corso di Tecnica d’improvvisazione, che è un altro corso che tengo io. Partendo da Tecnica d’improvvisazione – nel quale spiego i vari elementi armonici e ritmici – si comincia creando degli studi da applicare direttamente in Musica d’insieme per imparare al meglio i vari brani del repertorio.
A proposito di musica suonata insieme: capita quasi a chiunque impari a suonare uno strumento che gli si chieda subito di suonare pubblicamente qualcosa, in famiglia o tra amici. Non importa che tu sappia suonare tre note, ti viene chiesto comunque. Ecco, conoscendo la tua infinita esperienza di di palco, volevo chiederti quanto consideri cruciale il suonare dal vivo per la crescita di un musicista.
Senz’altro è uno degli aspetti più importanti perché senza esperienza dal vivo non ti rendi conto della tua capacità di creare musica sul palcoscenico e di coinvolgere il pubblico. È un fondamentale importante non solo per gli allievi ma anche per gli insegnanti perché ci sono diversi docenti che suonano poco in giro e quindi non hanno una grande esperienza diretta di palco. Io, invece, continuo ancora a suonare nonostante l’età!
Faccio spesso concerti e anche con piacere: è una cosa che arricchisce i musicisti e anche i ragazzi che hanno iniziato da poco, se hanno la possibilità di salire sul palco, si rendono più conto, e meglio, dei loro difetti, delle loro carenze musicali, delle difficoltà nella comunicazione. Senz’altro è una delle cose più importanti nello sviluppo di un musicista.
Grazie mille Attilio, è stato un vero piacere.
Grazie a voi! Ci vediamo a scuola!