Se non avesse fatto il musicista avrebbe fatto lo storico. Magari uno studioso del Medioevo bizantino o delle due guerre mondiali che hanno dilaniato il novecento. Come si armonizzano queste due anime? Dove convergono la razionalità della storia e l’estro artistico. “Sono due passioni che si incontrano ad esempio nella musicologia ma anche nella convinzione profonda, lo dico sempre ai miei studenti, che la musica e l’arte vanno collocate come espressione della società e delle gente, quindi come eventi storicamente rilevanti, e sono lo specchio di epoche diverse. Basta pensare all’impatto culturale che hanno avuto sulle giovani generazioni il Rock e artisti come Bob Dylan o come i Beatles, oppure al significato che aveva e ha tuttora l’espressione musicale per molti gruppi sociali, o minoranze. Alcuni artisti hanno aperto un mondo che ha segnato una linea di demarcazione nella musica ma che ha anche inciso, sia pure lateralmente, sulla società e di conseguenza sugli eventi storici. Tra gli artisti che hanno scritto con le loro musiche e i loro testi frammenti di storia italiana vorrei annoverare Fabrizio De Andrè”. Insomma la musica come messaggio, come comunicazione con il mondo e dunque con la storia degli uomini. Ma tutto ciò in una logica solipsista, solitaria, molto introspettiva. “Io sono sempre stato timido felice ma introverso”. E’ questa particolarità che emerge dal racconto di Peter Cornacchia un chitarrista talentuoso e un giovane padre che, per un caso, abitava nello stesso mio caseggiato a Milano e che spesso passeggiava nel cortile del condominio con in braccio il suo piccolo Damir.
Il nome lo ha ereditato dal nonno che era cittadino britannico. Musicista, chitarrista prescelto di Marco Mengoni Peter Cornacchia è nato a Cassino il 7 novembre dell’87. È forse dalla sua città natale, luogo di battaglia nel 1944 tra anglo-americani e tedeschi, che nasce la passione per la storia.
Mi pare tuttavia che la passione forse innata per la musica arrivi prima dell’interesse culturale per la storia. Mi parlavi della famosa Abbazia di Montecassino che per te ha un doppio significato.
Sì avevo 10 anni quando entrai nel coro Schola Cantorum dell’Abbazia di Montecassino. Un'esperienza che mi ha aiutato a entrare nell’universo musicale. Ma a voler essere sinceri devo dire che il primato della musica ha un’origine ancora più vicina a me: mio padre Paolo. Era assistente tecnico presso la sovraintendenza dei Beni Culturali ma amava e ancora ama la musica, si definisce un cantautore per diletto. Fu lui, quando avevo 12 anni, a insegnarmi i primi accordi. Da allora per 10 anni ho studiato chitarra classica e moderna con Gino De Cesare, il mio primo straordinario maestro, che in realtà mi ha fatto crescere in “autonomia”, lasciandomi guidare dall’istinto, aiutandomi a tirare fuori il mio io-musicale, e aiutandomi a condividerlo col mondo esterno. Tieni conto che vivevo in un piccolo paese di campagna lontano da tutto, senza amici, con poche relazioni sociali e con una forte introversione. E’ stato così per tanti anni. A un certo punto la mia solitudine si ruppe attraverso l’ascolto, sì la voglia di ascoltare i grandi della musica e della chitarra come David Gilmour dei Pink Floyd e Ritchie Blackmore dei Deep Purple. Non so quante volte ho ascoltato il loro concerto Made in Japan, una vera Bibbia per me.
Come riuscivi a conciliare lo studio della chitarra con gli studi scolastici? Non mi pare che avessi intenzione di trascurare la tua formazione culturale e storica.
Dopo la scuola suonavo e studiavo musica tutto il pomeriggio, tutti i giorni della settimana. La notte studiavo latino e greco e naturalmente la storia. Ero un vero stakanovista? Può darsi. Ma ti assicuro che era tutta farina del mio sacco. Era una mia scelta. Mio padre e mia madre non hanno mai avuto bisogno di sollecitare la mia voglia di studiare. La verità è che gli studi classici e la storia sono una mia passione alla stessa stregua della musica. Un punto di convergenza di queste due passioni come ti dicevo è stata la musicologia che poi è un modo di storicizzare, razionalizzare e universalizzare la musica come scienza e come un mezzo espressivo che è arrivato ancor prima della parola. Questa passione per lo studio della storia e dei classici si è rafforzata durante il Covid. Sono riuscito a sistematizzare gli studi e integrarli con la mia attività artistica.
Aspetta un attimo, facciamo un passo indietro. Quando esplode il Covid, all’inizio del 2020, lo studioso di storia Peter Cornacchia è già un musicista affermato, qualcuno lo definisce "l'ombra" con la chitarra di Marco Mengoni. Come avviene la simbiosi artistica con il vincitore di Sanremo 2023?
Dobbiamo tornare al 2008. Per me quello è stato davvero l’anno della svolta. I fratelli Piero e Massimo Calabrese, autori, produttori e compositori di alto livello della musica italiana mi hanno contattato in Accademia e mi hanno proposto di suonare nei concerti di Marco Mengoni. Devo ringraziare Piero e Massimo non soltanto per quella scelta ma perché mi hanno insegnato a stare sul palco. Da quel momento comunque la mia vita è cambiata, è iniziato un sodalizio con Marco che anche oggi è come un fiume in piena. Con lui ho fatto tutti i tour. Siamo stati in Europa e negli Stati Uniti e quest’anno rifacciamo gli stadi. Devo dire che tra di noi c’è una grande sintonia, Marco ha sempre insistito che fossi io ad accompagnarlo nei suoi tours. Tra l’altro a questo proposito c’è un aneddoto che riguarda mio figlio Damir molto divertente.
Quel neonato che quasi tutte le sere cullavi nel cortile del nostro condominio nella speranza di farlo addormentare?
Sì proprio lui. Nel 2019 stavo registrando da casa l'intro del brano Calci e Pugni di Marco Mengoni. Quando ho risentito il brano mi sono reso conto che era stato registrato anche un vagito di Damir. Ero molto preoccupato e l’ho detto subito a Marco. Lui l’ha ascoltato e ha deciso di tenere il vagito di Damir. Se ti capiterà di ascoltare Calci e Pugni sentirai a un certo punto la sottile voce di un neonato. E’ il verso di mio figlio.
Che rapporto hai con lo strumento che ti accompagna da una vita e che ti ha consentito di salire sui palchi di mezzo mondo?
Sicuramente non ho un rapporto feticistico, è conflittuale e inestricabile come una lunga storia d’amore . La mia passione per “l’oggetto-chitarra” trascende la fisicità, perché ciò che mi meraviglia di questo strumento è l’aderenza alla mia personalità, al mio mondo interiore, mi affascina ciò che posso fare e “dire” con lo strumento. Anzi, ti sembrerà strano ma a volte mi scontro con la chitarra perché voglio che porti oltre i limiti la mia capacità espressiva. E poi grazie a questo straordinario oggetto l’adrenalina prodotta dai concerti dal vivo è come se mi portasse in pace, è solo in quei momenti che coprendo quanto si possa dire con le note.
Hai mai pensato di diventare un cantautore? Mi raccontavi che tra le altre cose durante il Covid hai raccolto tutti i materiali nei quali cantavi e suonavi.
Cantautore? Mi sento un autore e un compositore, e sicuramente ho in mente un progetto che mi vede come cantante e musicista, certo, sono sempre severo con me stesso ma ciò è dovuto al mio approccio meticoloso alla composizione. In ogni caso sono presente su social e piattaforme come Instagram, Facebook, Spotify e Youtube, sia con pubblicazioni recenti, come il progetto di brani strumentali per sola chitarra classica che ho curato negli ultimi mesi, sia con video di performance dal vivo. In generale cerco di attribuire al mondo virtuale lo spazio e il tempo necessario per manifestare le mie forme di espressione, che sono musicali appunto, ma senza farmi prendere dall’ansia sul numero di follower o sulla periodicità delle pubblicazioni, devo pur vivere la mia vita per evolvermi e proporre musica.
E l’insegnamento che posto occupa nella tua attività professionale?
Un posto importante, determinante, direi che parlare mi piace quanto suonare, e adoro l’idea di trasmettere concetti e conoscenze sullo strumento e sul mondo della musica con sempre maggiori competenze, che cerco di acquisire studiando e confrontandomi con colleghi e professionisti vari che ho avuto modo di conoscere nella mia attività concertistica e in studio. Ho sempre insegnato tanto e dopo il mio trasferimento a Milano nel 2020 ho avuto la fortuna di entrare in contatto con una grande struttura come Cluster, grazie all’amicizia con un grande professionista come Leif, che mi ha messo in contatto con Massimo e Vicky.
Che impressione ti ha fatto Vicky?
Una donna molto forte che sa quello che vuole. Ma soprattutto coraggiosa, mettersi sulle spalle una scuola come la Cluster ci vuole molto coraggio e grande capacità manageriale oltre che artistica. D’altronde i risultati si vedono.