La sua capigliatura imbiancata e un tantino scapigliata non è soltanto un look da scienziato, modello Albert Einstein ma qualcosa di più profondo e singolare per un musicista. Dopo una lunga conversazione sulla sua vita e la sua professione, Luca Meneghello, chitarrista rock e jazz, da vent’anni solista negli album di Mina, noto negli ambienti della Musica come l’autodidatta più talentuoso che offre il mercato, insegnante alla prestigiosa scuola di Musica Cluster, mi rivela che una delle sue passioni, oltre alla chitarra che lo ha divorato dall’età di 7 anni, è la scienza e in particolare l’astronomia. Che nesso c’è tra l’arte della Musica e la scienza? Lui scuote il capo e sorride. "Se non avessi fatto il musicista - confessa - avrei fatto l’astronomo. L’universo, lo spazio infinito mi affascinano. Tu mi chiedevi che nesso c’è tra l’arte della Musica e la scienza. Io credo che qualcosa ci sia. Ho letto di recente che l’Universo è fatto di vibrazioni”. Glielo confermo. Dalle pubblicazioni scientifiche si apprende che ogni elemento nell’Universo è in stato di vibrazione. Sul principio della vibrazione si basa la fisica quantistica che definisce la struttura della materia come attività vibrazionale data da campi energetici positivi e negativi. “Vedi che cosa meravigliosa. La Musica cos'altro è se non un insieme di vibrazioni?”.
Mentre assisto all’entusiasmo di Luca per queste osservazioni mi cade l’occhio sui titoli dei suoi ultimi due album. E allora capisco tutto: un suo album del 2013 si chiama Relativity, il richiamo alla teoria einsteiniana è palese. L’ultimo album si chiamerà From Heart to Space. Interessante e anomalo. Ma ora dobbiamo tornare sul pianeta terra e fare un viaggio nel passato, e cercare di capire quando Luca Meneghello ha preso tra le mani per la prima volta la chitarra.
Tu hai 56 anni, sei nato a Milano nel 1966. In che anno hai provato a mettere le tue dita su quelle corde vibranti come l’Universo? Mi pare di capire dai tuoi racconti che dietro questo incontro fatidico con la chitarra ci sia una regista di alto livello, tua madre Giovanna.
"Non c'è dubbio. Mia madre ha avuto un ruolo decisivo non soltanto per il primo approccio che ho avuto con la chitarra ma in tutti i momenti di svolta della mia vita artistica. Non posso non riconoscerlo. Io d'altronde sono figlio unico, e dunque come spesso avviene in questi casi l'attenzione dei miei genitori era molto centrata su di me. L'incontro con la chitarra è stato un colpo di fulmine forse inspiegabile. Avevo 7 anni. Fu mio nonno materno Ottorino su suggerimento di mia madre a regalarmi una chitarra Meazzi e ricordo ancora oggi che assieme alla chitarra c'era un libretto, il metodo Martinelli, che ti confesso fu importante per la mia formazione. Tieni conto che io sono un autodidatta, non avevo un maestro e per capire come funzionava quello strumento di cui non sapevo neanche a cosa servivano le meccaniche, andavo nei giardini pubblici dove molto spesso c'erano dei chitarristi seduti in panchina che suonavano. Io li guardavo e cercavo di capire che cosa facevano, come muovevano le mani"
Direi che è stato davvero un colpo di fulmine. In genere a quell’età i bambini pensano a giocare, non certo a nascondersi dietro una panchina per capire come funziona una chitarra.
"E’ vero, mi rendo conto adesso quanto mi fossi innamorato di quello strumento. Una passione che continuò nella scuola milanese di via Gaeta nel quartiere Affori, grazie al fatto, forse un segno del destino, che c’era la possibilità di frequentare un corso gratuito di Musica con un maestro che insegnava teoria e solfeggio. Ho imparato a leggere la Musica con il clarinetto perchè non c’erano alternative ma è stato davvero formativo."
Poi la prima svolta sempre con la regia di mamma Giovanna mi pare.
Luca lancia un sorriso a distanza a sua madre con un gesto di gratitudine.
"Sì, sempre lei e non sarà l’ultima volta. Avevo circa dieci anni, a quel tempo andavamo in vacanza a Fano. In un locale vicino a noi mia madre mi disse che c’era un chitarrista, Enzo Ciancio, che suonava assieme al gruppo Gluck-Track. Come un vero manager mia madre mi fissò un appuntamento con Ciancio. Ricordo ancora il breve colloquio con lui: ‘Chi ti ha insegnato a suonare così la chitarra?’ ‘Ho fatto tutto da solo’, risposi timidamente. ‘Signora - disse Ciancio a mia madre - mi raccomando lo faccia studiare, Luca ha una predisposizione particolare che non va persa’. Mia madre infatti non perse tempo e decise di acquistare una chitarra elettrica per 50.000 lire. Era una Melody, una simil- Fender. Però non avevo un amplificatore, avevo tentato di arrangiarmi con un registratore fino a quando un amico di mia madre, perito elettronico, mi costruì un vero amplificatore. Iniziò per me quella che definisco la fase dell'ascolto dei chitarristi che all'epoca venivano considerati i principi della chitarra elettrica. Ricordo l'ascolto dei Pink Floyd, del loro chitarrista, David Gilmour e Ritchie Blackmore dei Deep Purple. Allora non c'erano i video e così mi inventai un procedimento di ascolto, che consiglio ancora oggi ai miei allievi: ascoltavo e riascoltavo e poi cercavo di ripetere e di copiare quello che sentivo. Sì, hai capito bene, copiavo, io credo che all'inizio tutti gli artisti tendono a ‘copiare’ un modello poi l'esperienza e lo studio ti consente di conquistare una tua originalità, una tua personalità. Comunque considero quel procedimento di ascolto una miniera d’oro per chi vuole imparare a suonare la chitarra."
Immagino che tu ascoltassi anche Jimi Hendrix, considerato il genio della chitarra elettrica.
"Jimi Hendrix l'ho riscoperto più tardi. E oggi ti posso dire senza ombra di dubbio che i chitarristi elettrici più noti sono tutti suoi figli, da Eric Clapton a Van Halen. Non sono soltanto io a pensarla così."
Come procede l’ascesa ai vertici dei chitarristi italiani? Hai trovato qualche ostacolo sulla tua strada?
"Un piccolo ostacolo poi superato è stato il Conservatorio. Finite le medie i miei genitori tentarono di iscrivermi al conservatorio ma lì trovai un primo muro: il numero chiuso ai corsi di chitarra. Non avevo voglia di continuare con il clarinetto, non era il mio strumento così decisi di iscrivermi a un corso di chitarra alla scuola Free Sound. Avevo 16 anni. Purtroppo in quel corso c'era un maestro un po' strano che ti dava le esercitazioni da fare nei laboratori di Musica e poi spariva, quindi decisi di lasciare. Fu sempre mia madre a imprimere una svolta vera alla mia professione. Un giorno arrivò a casa con un manifesto che pubblicizzava il Centro Professione Musica, fondato da Franco Mussida chitarrista della Premiata Forneria Marconi. Ero ancora giovane ma dal loro metodo di insegnamento capii che ero finalmente approdato nel luogo giusto. A Milano non esisteva una scuola dove musicisti professionisti allevavano giovani musicisti. Ho studiato con Giorgio Cocilovo un chitarrista particolare molto talentuoso. Fu lui a farmi acquisire e capire il valore della Musica jazz. Per me fu una grande svolta artistica. La mia formazione era rock ma entrai con entusiasmo nel mondo del jazz."
Siamo alle porte di un’altra svolta, o sbaglio?
"Non fu quella più importante, che poi avvenne alla fine degli anni ‘90. Ne parleremo. Tu fai riferimento all’88 quando decisi di fare della Musica una professione. Mi chiamarono per assumermi come perito elettronico. Dovevo decidere se dire addio alla chitarra o restare nel mondo che io avevo sempre sognato. Era l’anno in cui i miei genitori si separarono e io ero un po’ incerto su cosa fare da grande ma alla fine di una riflessione aiutata però da quell’istinto che mi aveva sempre guidato nelle scelte importanti decisi di rifiutare l’offerta di lavoro e di trasformare la mia passione in una professione. Avevo conosciuto un bassista che faceva parte di un gruppo venezuelano e decisi di accettare la loro offerta e di entrare nel gruppo come chitarrista. Certo, una Musica molto diversa dal rock e dal jazz ma era un bagaglio culturale e musicale che mi sarebbe servito. Iniziò allora la mia decennale gavetta musicale, per me era la prima vera esperienza nelle vesti di musicista. Furono gli anni in cui suonavo alle Scimmie e al Capolinea, dove passarono grandi artisti blues, jazz e rock."
E poi l’incontro con Massimiliano Pani e la sua celebre madre, Mina Mazzini. Come avvenne il felice incontro?
"Alla fine degli anni ‘90 al Nord Est cafè incontrai Nicolò Fragile, pianista, compositore e arrangiatore. In quegli anni ero già conosciuto come chitarrista. Lui mi propose di incontrare Massimiliano Pani, che cercava un chitarrista per una pubblicità della Panda dove cantava Mina. Feci una registrazione, lui fu molto colpito dalla mia prestazione e da quel giorno ogni volta che Mina registrava un disco lui mi chiamava. “È uno dei migliori”, disse Pani a un amico comune. Dal primo album Mina-Celentano fino a “Le migliori”. Ho suonato anche nell’ultimo album di Mina, "Ti amo come un pazzo". I venti anni con Massimiliano Pani e Mina sono stati importanti, mi hanno consentito di farmi conoscere dai grandi artisti e dai produttori, ma in quegli anni facevo anche altro, ricordo le tournée con Grignani, Renato Zero e altri artisti. Ho insegnato due anni al Conservatorio di Parma e se così si può dire mi sono tolto un sassolino dalla scarpa, perché mi ricordavo quando mi respinsero al Conservatorio per numero chiuso. Insomma, una bella soddisfazione tornarci da docente."
A proposito di insegnamento, arriviamo all'incontro con Vicky Schaetzinger e con Cluster, diventata negli anni una delle cattedrali della Musica. Un crocevia di artisti importanti che hanno deciso di trasmettere la loro esperienza alle giovani generazioni. Come ci sei arrivato?
"Vicky l’ho conosciuta una prima volta nel 2018 a Cluster quando incontrai dei musicisti che facevano parte del mio giro. Poi una sera venne a sentirmi Silvia Conte, resposabile del coordinamento in Cluster e flautista, in un locale milanese, l'ex circolo combattenti che tra l’altro con mio grande dispiacere sta chiudendo i battenti. Mi hanno raccontato che Silvia si è innamorata di come suonavo la chitarra e ha chiesto a Vicky? ‘Come mai questo musicista non è a Cluster?’. Ed eccomi qua."
Davvero un ultima domanda: qual è e quale sarà la chiave del tuo insegnamento ai giovani vogliosi di suonare la chitarra?
"Ti risponderò con poche parole. La teoria è importante ed essenziale soprattutto per chi vuole fare l’autore o il compositore, ma la teoria senza l’acquisizione dei linguaggi musicali diventa cosa morta. Per quanto mi riguarda la capacità di improvvisazione che ho imparato dal jazz è l’anima di un chitarrista."